Negroponte, terra di battaglia

Venerdì 10 Luglio 2020
Negroponte, terra di battaglia
di Bruno Buratti*

Cinquecentocinquanta anni fa, il 12 luglio 1470, dopo lungo e sanguinoso assedio cadeva in mano ottomana l'isola di Negroponte, sotto controllo veneziano dall'epoca della quarta Crociata. È il primo duro colpo inflitto dalla nascente potenza turca alla Serenissima, sino ad allora incontrastata dominatrice del Mediterraneo. Assegnata a Venezia con la spartizione dell'impero bizantino nel 1204, Negroponte, come i veneziani chiamavano l'isola di Eubea e la sua capitale, l'odierna Chalkìs, rivestiva una importanza strategica fondamentale tanto a mare, per la sicurezza delle rotte di avvicinamento alla Grecia dall'Oriente, quanto a terra come porta di ingresso al Peloponneso da nord e punto di passaggio obbligato per i rifornimenti alla città di Atene.
Lo sapevano bene anche i turchi, guidati da Maometto II Fatih, il conquistatore, che a differenza del predecessore Murad, non aveva altro dilecto che l'exercitio de l'arme et de aggrandir l'imperio suo. Dopo aver preso Costantinopoli nel 1453 e spazzato facilmente via in rapida successione l'impero di Trebisonda, i despotati di Morea e di Epiro ed occupato l'isola di Lesbo, gli ottomani entreranno inevitabilmente in urto con Venezia, puntando direttamente al cuore dei suoi domini orientali: Negroponte, principale baluardo dei possedimenti in Egeo e piazza commerciale di primaria importanza, definita prestigio e magnificenza di Venezia. Era l'inizio di un lungo confronto che, protrattosi con alterne vicende per oltre 200 anni (gli storici conteranno ben sette conflitti veneto-ottomani tra il XV e il XVIII secolo), avrebbe logorato entrambi i contendenti per la leadership del Mediterraneo e il controllo dei suoi ricchi commerci.
Consci dell'importanza della posta in gioco, i turchi fanno le cose in grande. Avviate le ostilità con la presa di Argo, Maometto in persona conduce un poderoso esercito (si dice fino a 120 mila uomini) in Beozia, attraverso la Tessaglia, e si accampa sull'Euripo, stretto braccio di mare che separa la Grecia dall'isola, quasi di fronte alla capitale. Contemporaneamente l'ammiraglio Mahmud Pascià usciva dai Dardanelli con una flotta di 300 legni e 60 mila uomini e faceva ingresso nel canale di Eubea il 14 giugno 1470. Il capitano generale da mar, Nicolò Canal, dispone solo di 35 galere e si limita a seguirla da lontano, senza intercettarla, sino a Negroponte, dove assiste alla costruzione di un ponte sull'Euripo, ordinata dal sultano, che il 20 inizia l'assedio della città. Quindi si porta a Candia, per rinforzare la squadra (si biasma el General che l sia anda' in Candia con l'armada, e che l'habbia lassa' Negroponte assedia') e fa rientro con 52 galere, una galeazza, 18 navi e 20 mila uomini imbarcati, giungendo da nord, all'alba dell'11 luglio, di fronte alla flotta turca che ha gran parte degli equipaggi a terra e non è in quel frangente in grado di difendersi.
Sarebbe il momento di agire. Si potrebbe investire la squadra nemica, distruggere il ponte sull'Euripo e isolare gli ottomani a terra, infliggendogli un duro colpo. Ma il Canal, fine diplomatico ed umanista, più atto a lezzer libri che a governar le cose da mar, esita ad attaccare nonostante le ripetute richieste di aiuto, non sfrutta il momento favorevole e segna, in tal modo, il destino degli assediati.
Nulla può il bailo Paolo Erizzo, che pure si difende con coraggio, contro le soverchianti forze turche che il 12 luglio, sotto gli occhi dei marinai veneziani che assistono impotenti, penetrano infine in città massacrandone gli abitanti dopo una lotta selvaggia condotta nelle case e nelle vie con ogni mezzo, compreso il lancio di tegole dai tetti. Lo stesso Paolo Erizzo soccombe con i suoi ufficiali e, secondo la tradizione, è posto sopra un'asse e fatto segare vivo a metà dal sultano, che avrebbe così formalmente onorato la promessa di salvargli la testa. L'atroce episodio è ricordato da un dipinto di Pietro Longo nella sala del Maggior Consiglio, in Palazzo Ducale. Un successivo tentativo di riprendere la città dopo la partenza di Maometto, che vi aveva lasciato un presidio, fallisce nonostante l'irresoluto Nicolò Canal, poi processato e condannato al confino, disponga questa volta di quasi 100 galee.
Occorreranno altri 200 anni perché Venezia provi a riprendersi l'isola. Lo farà con uno dei suoi migliori condottieri, Francesco Morosini che, assai più versato nel mestiere delle armi rispetto al Canal, si lancerà nel 1684 alla riconquista della Morea, il Peloponneso, compiendola nel giro di tre anni con una serie travolgente di vittorie, che gli varranno il titolo di Peloponnesiaco e l'acclamazione a Doge per meriti militari. Nel 1687, dopo la rapida presa di Patrasso, Lepanto e Corinto, vorrebbe dirigersi su Negroponte, ma deve cedere alla diversa opinione degli altri capi della consulta militare - aveva a disposizione una vera e propria task force internazionale - e del suo stesso governo, per dirigere su Atene, più a portata di mano ed assai meno difesa. Sarà dunque il Partenone, ridotto dai turchi a deposito di polveri e munizioni, a saggiare purtroppo l'efficacia delle artiglierie veneziane. Lo slittamento di un anno della spedizione concede ai turchi il tempo di rafforzare le difese e quando il Morosini, nel frattempo eletto Doge il 3 aprile 1688 e rimasto in zona di operazioni, inizia il 30 luglio l'assedio con un corpo di spedizione forte di 14.000 fanti e 800 cavalieri, si trova di fronte un presidio armato di numerosi cannoni e ben protetto dalle opere di difesa, che fanno perno sul munito forte di Karababa.
La tattica di movimento di cui Morosini era maestro si trasforma in una logorante guerra di posizione e le trincee diventano un nemico più pericoloso dei turchi, complici il terreno paludoso e malsano, le condizioni climatiche e, soprattutto, la peste, che flagella i veneziani causando ben 5 mila vittime, tra cui il 15 settembre lo stesso Otto von Königsmarck, comandante delle truppe di terra. I turchi si difendono inoltre con accanimento e rompono la sequenza degli attacchi con numerose sortite. Il 4 ottobre Morosini effettua un assalto generale, senza esito, ed è costretto a ritirarsi a Nauplia per l'inverno. L'armata veneta non conoscerà più vittorie significative, neanche quando Morosini, nel frattempo rientrato a Venezia, cederà alle insistenze del Senato per tornare in campo e rianimare il morale delle truppe. Salpato al termine di una grandiosa cerimonia il 25 maggio 1693 tra squilli di tromba e salve di cannone, il Peloponnesiaco dopo alcune conquiste minori si recherà a Nauplia in preparazione di un futuro assalto a Negroponte, ma si spegnerà a bordo della sua galea ammiraglia il 6 gennaio 1694, dopo quattordici giorni di infermità, colto da un violentissimo male.
Negroponte non tornerà più in mano veneziana ed i turchi lasceranno l'isola contesa solo nel 1830, quando la Grecia conquisterà l'indipendenza e la Serenissima aveva già concluso la sua lunga e gloriosa parabola.
**Gen. C.A. Comandante Interregionale dell'Italia Nord
Orientale Guardia di Finanza
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