Morandi all'Arena: «Il segreto? Non scordo le mie origini semplici»

Giovedì 19 Aprile 2018
Morandi all'Arena: «Il segreto? Non scordo le mie origini semplici»
L'INTERVISTA
«Due mogli, entrambe venete. E poi centinaia di spettacoli un po' ovunque in giro per il Veneto. Capito molto spesso da quelle parti e mi fa piacere constatarlo: si vede che mi vogliono bene e che io voglio bene ai veneti». Dopo Jesolo, Conegliano e Padova, il 25 aprile toccherà all'Arena di Verona fare da cornice all'abbraccio tra il cantante bolognese Gianni Morandi (73 anni) e i suoi fan del Nordest. Una cornice d'eccezione, per una serata «speciale». La prima parte della sua ultima avventura live, d'amore d'autore, partita dal Pala Arrex di Jesolo lo scorso 22 febbraio, sta per concludersi. Tappa finale, prima degli appuntamenti della prossima estate (tra gli altri, Marostica il 12 luglio e Codroipo, Udine, il 14 luglio), l'Arena di Verona.
Che spettacolo sarà?
«Lo spettacolo di mercoledì prossimo sarà quello che ho portato in giro in tutta Italia, ma un posto straordinario come l'Arena trasformerà la serata in qualcosa di speciale». Più di due ore di esibizione, oltre 40 canzoni tra le sue più famose.
Ce n'è una a cui è particolarmente legato?
«La primissima che ho inciso, Andavo a 100 all'ora. È quella che ricordo con più tenerezza. Non dimenticherò mai il momento in cui per la prima volta ho sentito la mia voce uscire fuori da un jukebox».
Era il 1962. Chi era stato fino a quel momento il ragazzo di Monghidoro?
«Il figlio di un ciabattino, che aveva fatto solo la quinta elementare, con un padre che lo faceva lavorare. Poi in paese suggerirono di fare ascoltare quel ragazzino che cantava a qualcuno a Bologna. Andai da una maestra di canto, che era stata anche la maestra di Nilla Pizzi. Mi portò con la sua orchestrina a fare qualche serata. Credo che la prima volta che sono venuto in Veneto sia stata proprio con lei, dalle parti di Rovigo, per suonare nelle balere. Andò così per qualche anno, poi cominciai con i primi dischi».
Con quale immagine riassumerebbe la sua lunga storia?
«Più che un'immagine, mi viene in mente una parola: fortuna. La fortuna di poter fare un lavoro che ti permette di stare in mezzo alla gente, un lavoro che è una scuola di vita. Mi ha fatto girare il mondo, mi ha permesso di conoscere tutti i più grandi artisti, registi, attori, autori della mia epoca e tanta gente che mi supporta e sopporta da tanti anni».
Qual è il segreto di questo successo che attraversa intere generazioni?
«In questo lungo percorso, fatto di alti e bassi, il segreto è stato cercare di rimanere me stesso, senza dimenticare da dove sono partito. Rimanere normale: il segreto è la normalità».
Anche sui social, dove è seguitissimo e molto presente?
«Credo di essere una persona come le altre: raccolgo le ciliegie, vado al cinema, mangio un piatto di pasta, trascorro del tempo con la mia famiglia».
Nell'ultimo disco, d'amore d'autore, molte collaborazioni, anche con i più giovani. Cosa pensa delle nuove leve?
«A me sembra che stia nascendo una nuova generazione di autori che scrivono bene. E ci sono tanti nomi da fare. Una nuova ventata di musica italiana, che mi fa tornare in mente gli anni Settanta, quando nascevano grandi cantautori. Mi incuriosisce molto sentire come cantano, cosa scrivono, come si esprimono, al punto da chiedere loro di scrivermi una canzone. E sono venute fuori collaborazioni interessanti».
Andando oltre la musica: meglio i giovani che ne prendono le redini o i padri che lasciano loro l'Italia in eredità?
«La nostra generazione ha fatto molti errori. Abbiamo ragionato troppo da singoli e poco da squadra. Abbiamo lasciato loro un'Italia che ha bisogno di essere rigenerata, di più speranza, prospettive per il futuro, lavoro e soprattutto, spirito di collettività. Io credo nei giovani e sono fiducioso che daranno nuovo impulso perché le cose cambino in meglio».
Valentina Russo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci