Molesini in guerra «Ma parlo di pace ed esalto la vita»

Martedì 16 Aprile 2019
Molesini in guerra «Ma parlo di pace ed esalto la vita»
L'INTERVISTA
I 54 milioni di morti della Seconda guerra mondiale «non si fanno dimenticare», anche perché ci costringono a riflettere «per mettere a fuoco la nostra identità che ogni generazione è chiamata a rimodellare». Dopo Non tutti i bastardi vengono da Vienna, premio Campiello 2011 e La primavera del Lupo, sempre editi da Sellerio, Andrea Molesini torna alle ferite della storia: e nel nuovo romanzo Dove un'ombra sconsolata mi cerca, lo scrittore veneziano osserva la sua città attraverso lo sguardo di Guido, un tredicenne orfano di mamma che ama leggere Guerra e Pace mentre esce in barca con l'amico Scola, e che tra il 1943 e 45 su ritrova a dover recapitare messaggi segreti da un'isola all'altra.
«È un libro che parla della morte, della nostra consapevolezza di essere mortali, per esaltare la vita, ma non è un libro triste, anzi - spiega Molesini - Affronta il problema del tempo, la materia di cui siamo fatti, e la laguna, con la lotta tra le sue differenti acque ora dolci ora salmastre, ne è la culla e lo specchio».
Cosa ha di così potente il romanzo storico?
«L'ambientazione in un luogo e un tempo precisi aiuta a dare forza al linguaggio. A me piace la realtà, e per affrontarla bisogna bandire le lusinghe della vaghezza, e la Storia costringe ad essere concreti. Nessuna idea se non nelle cose! Solo così fatti e visioni possono sperare di scolpire l'immaginazione del lettore».
Complicato scriverlo? Sono stati necessari studi, approfondimenti?
«Ogni cosa che abbia un senso costa fatica. Gli esseri umani sono spesso inconsapevolmente dei cercatori di senso, perché breve è il tempo che ci è concesso, e siamo tutti chiamati a valorizzare la breve scintilla che chiamiamo vita. E non conosco altro modo di farlo se non vivendola intensamente, senza risparmiarci, con coraggio, energia, e fede nella parola, evocatrice di mondi».
In una vecchia intervista ha detto che la sua mente di scrittore è un po' maniacale e ossessiva. È un aiuto o un ostacolo alla scrittura?
«Non lo so. Io amo la precisione, la parola opportuna, la sola che, in quel determinato contesto, suscita l'immagine che emoziona, e così facendo resta impressa nella memoria.
Lei è anche poeta: come concilia i due mondi?
«Il linguaggio è un territorio inespugnabile, non c'è confine tra versi e prosa, ovvero c'è ma è artificioso. Senza accorgercene usiamo endecasillabi e settenari anche per comprare un chilo di pere e due etti di caffè. La cosa importante è dire la verità, aderire a quello che sentiamo, senza esagerare, né sottrarci al dolore di pensare: perché ogni verità, anche la più apparentemente innocua, fa un po' male».
Quando ha iniziato a scrivere, a vent'anni, voleva essere soltanto un poeta. Come è entrato il romanzo nel suo orizzonte?
«È venuto da solo, diciamo che ha bussato alla mia porta e io ho aperto, con un po' di paura di essere inadeguato. Ma non c'è libertà senza coraggio, e non c'è felicità senza libertà. Per vivere una vita piena ho avuto bisogno di raccontare».
Cosa ama leggere? E cosa invece non legge?
«Non leggo più molto i giornali, il chiacchiericcio che si stampa ogni giorno è snervante, meglio la chiacchiera del mercato, che è piena di sorprese, di meraviglia, e a nostra insaputa a volte dice cose profonde sul mistero del nostro divenire. Amo soprattutto i grandi scrittori russi».
Q
ual è stato il romanzo che l'ha folgorato spingendola a scrivere?
«Guerra e pace, ma anche Vita e destino, Il Gattopardo. La lista non è brevissima».
A distanza di anni, quanto l'ha aiutata il Campiello?
«Sono troppo vecchio per prendere sul serio il successo mondano. Panta rei».
Venezia è una città dal turismo di massa ormai insopportabile: che vede all'orizzonte?
«Faccio la parafrasi di una celebre frase di Kennedy: non chiediamoci cosa Venezia può fare per ciascuno di noi, ma cosa ciascuno di noi può fare per Venezia. Spetta a noi trovare l'energia per essere degni del suo grande passato. Non è facile, ma vale la pena provarci».
Riti particolari quando inizia a scrivere?
«Non me l'ha ordinato il medico di scrivere. Lo faccio solo quando non riesco a farne a meno. E mi dà sempre gioia. Non riesco a pensare a niente di più bello di una pagina che chiede di essere riempita».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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