Metheny, emozioni a sei corde

Giovedì 12 Ottobre 2017
L'INCONTRO
Era il suo primo incontro con il pubblico italiano per una conversazione sulla musica, quella di Pat Metheny, al Ridotto del Teatro Verdi di Padova, ieri dalle 15. Davanti a lui una quarantina di persone, che avevano sborsato la non indifferente cifra di 70 euro a testa per poter dialogare col grande chitarrista jazz del Missouri (quasi il doppio del concerto di domani sera al Verdi, ormai tutto esaurito).
DIALOGO A CARO PREZZO
Metheny, sorridente, gioviale, rilassato, col suo leggendario cespuglione di capelli ricci che iniziano a mostrare qualche sfumatura grigia e vestito con una semplicissima camicia a scacchi azzurrina e bianca, chiarisce subito: Parlare di musica per me è come suonare, come improvvisare: ci deve essere sempre attenzione a come si evolve il discorso, ci vuole coerenza, saper riprendere in mano la stessa idea anche dopo molto tempo. Chiacchierare con il pubblico italiano lo rende felice. E non sono parole di circostanza: si avvicina al pubblico con la sedia a un metro dalla prima fila, con la scusa del microfono che non funziona bene (e che poi ricomparirà facendo egregiamente il suo dovere). I fans sono emozionatissimi: Non riesco a credere che sto parlando con Pat Metheny! Sono veramente onorato. E iniziano con le domande: quando ha avuto la prima ispirazione? Ed è venuta suonando la chitarra o è arrivata così, non si sa come? Bella domanda, fa Metheny.
LE DOMANDE DEI FAN
E la prende larga: rievoca l'infanzia, passata in una famiglia di trombettisti, di cui uno, il fratello Mike, addirittura bambino prodigio. Per lui la musica è sempre stato qualcosa di naturale, che ha coinciso con la sua stessa vita. Per cui la chitarra è solo uno strumento: Come un cacciavite serve per costruire la casa, ma non è la casa, la chitarra serve per realizzare l'idea musicale che si ha in mente. I fan vogliono sapere: come fa a superare il blocco creativo. Mi chiedo anche io cosa posso fare. Aiuta, fa lui. E poi precisa: Cerco di focalizzare l'attenzione sull'obiettivo finale e di visualizzarlo più chiaramente possibile, senza accontentarmi mai di dove sono arrivato. Cerco sempre qualcosa di nuovo, anche quando mi rendo conto che magari fa schifo.
L'importante è quello che si vuol dire, non il non saper capire subito cosa ha fatto un altro musicista che suonando con te. Spesso ci si ferma artisticamente perché si ha una visione chiusa e non d'insieme, per cui non si riesce a chiedersi cosa si vuole fare.
GOULD E DAVIS
Ma, incalzano i fans, quanto aiuta la padronanza della tecnica e quanto la visione musicale? Nel film Round Midnight un personaggio dice a Dexter Gordon: Stasera stai suonando da Dio. Ma Gordon era al quarto concerto del giorno. Non poteva aver inventato qualcosa di nuovo ogni volta. Ma era capace di dare l'illusione che fosse così. I migliori musicisti sono quelli che danno l'illusione di suonare sempre. Anche musicisti non jazz sono capaci di farlo: uno era Glenn Gould, il grande interprete di Bach. Ogni musicista ha il suo vocabolario e lo usa. Miles Davis ha riutilizzato idee dal 1956 al 1995, ma è rimasto sempre reale. Ed è questa è la cosa che conta per trasmettere emozione».
Renzo Stefanel
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