Manolo, don Ciotti, Gallo e Tasinato Gambrinus dà voce alla montagna

Domenica 18 Novembre 2018
Manolo, don Ciotti, Gallo e Tasinato Gambrinus dà voce alla montagna
IL PREMIO
Che faccia ha la montagna oggi? Ha l'ossatura nervosa e l'occhio chiaro di Maurizio Zanolla alias Manolo, a cui di fatto ha salvato la vita. Ha il respiro dell'eternità della parola di don Luigi Ciotti che si professa orgogliosamente figlio delle Dolomiti e che ogni anno rinnova la tessera del Cai di Pieve di Cadore, dove nacque 73 anni fa. Ma ha anche l'incarnato roseo e le mani veloci di Francesca Gallo che costruisce fisarmoniche e suona valzer che sanno di nostalgia, e ha infine il piglio appassionato (dietro l'apparente tecnicismo) di Alessandro Tasinato, chimico e scrittore incoronato supervincitore dalla giuria di lettori con l'opera prima Il fiume sono io (Bottega Errante). La 36^ edizione del Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti per la letteratura di montagna, alpinismo, esplorazione, viaggi premia quattro storie e un pensiero unico: la natura come sfondo irrinunciabile di vita, pensiero e azione. I loro libri spesso non sono vere e proprie fatiche letterarie ma spunti per raccontare un mestiere. Francesca, vincitrice della sezione artigianato con Phisa Harmonikos è un'artigiana artista, Manolo, autore di Eravamo Immortali è il più celebre arrampicatore free solo d'Italia e Tasinato di professione fa il tecnico ambientale. Don Luigi Ciotti, premio Gambrinus Mazzotti honoris causa, è la voce di Abele e Libera, ma - insieme - irriducibile montanaro.
CONCORRENTI A TUTTO TONDO
«Il mio unico vezzo? La tessera del Cai». Forse in pochi conoscono il Ciotti bellunese, nato a Pieve di Cadore e legato nel profondo alla terra d'origine. «Io amo questa terra, qui ci sono le mie radici. Ringrazierò sempre Dio e l'amore dei miei genitori per avermi fatto nascere qui: essere veneti è privilegio e dono». La montagna ferita è lo sfondo di ogni riflessione durante la finale al Parco Gambrinus. Don Ciotti cita l'enciclica seconda di Papa Francesco. «Laudato sì è uno scritto di autentica rivelazione - sottolinea - i disastri ambientali e i disastri sociali non sono due emergenze diverse, ma la stessa cosa». Mentre la storia della Rabiosa, discarica liquida del distretto conciario di Chiampo-Arzignano è una vicenda di ordinaria incuria, come racconta Alessandro Tasinato ne Il fiume sono io, grido per ridare dignità e un nome a questo corso d'acqua, negli altri volumi la natura è amorevole e benigna. È il paesaggio consolante e salvifico dell'infanzia, come scrive Manolo. Oggi non sarà più così. «Le nostre foreste hanno preso una bella pettinata, e non torneranno mai più come un tempo - riflette - La vista dalla televisione non rende lo strazio delle foreste dilaniate. Dobbiamo dimenticarci i boschi della nostra giovinezza, non li rivedremo più. Un bosco forse in 50 anni si recupera. Ma la foresta, così come la conoscevamo, è morta per sempre». Francesca Gallo vorrebbe creare, nell'Agordino, un frutteto sociale. «I meli, i peri sono le piante da cui traggo i miei strumenti - afferma - ma prima che diventino il prezioso legname per le fisarmoniche vorrei che i loro frutti venissero messi a disposizione della collettività». Don Ciotti guarda lucidamente la sciagura. «In Veneto il carico di vittime poteva essere ben diverso. Ma qui c'è serietà e attenzione. E poi in due settimane tutto è tornato come prima. Questa è gente meravigliosa, che si rimbocca le maniche». Ma su emergenze di questo tipo Manolo ammonisce. «Dovremo abituarci. La temperatura si alza, il bosco si è preso troppi spazi, le piante sono arrivate quasi a valle. Forse non in maniera così rovinosa, ma questo tipo di fenomeni accadranno di nuovo. Dobbiamo imparare a difenderci».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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