Luciano Pignataro
Dal Veneto alla Sicilia, passando per Roma e Napoli, l'Italia

Mercoledì 20 Novembre 2019
Luciano Pignataro
Dal Veneto alla Sicilia, passando per Roma e Napoli, l'Italia è unita dalla passione per il baccalà. Perché consumare pesce conservato se in Italia abbiamo centinaia di chilometri di costa? A questa domanda apparentemente ingenua ci sono due risposte capaci di spiegare perché baccalà e stoccafisso entrano nelle tavole italianeda oltre cinquecento anni sino a diventarne una vera e propria caratteristica.
La prima è che l'approvvigionamento di pescato diventa problematica nelle città come in campagna per problemi di conservazione legati alla sicurezza alimentare.
La seconda risposta, ancora più fondante della precedente, è che per andare alle origini delle tradizioni gastronomiche bisogna resettare la mente e pensare che l'uso del freddo per conservare gli alimenti, soprattutto a casa, è tutto sommato recente rispetto alla memoria storica della comunità. Il frigorifero entra nelle case italiane a cominciare dagli anni '50 e prima bisognava ingegnarsi per conservare gli alimenti. Per non parlare dei supporti chimici di oggi usati dalla grande industria in alimenti insospettabili.
Dunque la conclusione è molto semplice: quale miglior modo di consumare pesce, soprattutto in assenza cronica di carne che per secoli ha afflitto i napoletani se non il baccalà e lo stoccafisso?
Sicurezza totale e costi bassi: mercato assicurato. Nasce da queste motivazioni profonde lo smercio di questi due prodotto. La ricetta più famosa è evidentemente il baccalà alla vincentina anche se pochi sanno che Napoli e la Campania sono il principale mercato di baccalà e stocco, nei modi più disparati, perché immediatamente questa materia prima proveniente dai mari freddi del Nord ha fatto da contraltare alla ricchezza delle verdure e, naturalmente, della pasta.
Vai dunque con le linguine allo stocco, da qualche tempo anche le pizze, e ai mille modi per mangiare questo alimento che coinvolge sia le trattorie impegnate a ripetere alla moviola i riti della tradizione gastronomica, sia l'alta cucina stellata. Cambia l'approccio tecnico, ma la sostanza resta questa: lungo tutto l'Appennino centro meridionale, sino alla Calabria dove c'è un paese, Mammola, famoso per la preparazione dello stocco, è una vera e propria mania con le sue innumerevoli varianti.
Dalla pertecaregna alla ricetta classica con olive e capperi oppure semplicemente all'insalata in puro stile moderno. Sono sempre più numerose le osterie intitolate a questo prodotto. Ma spesso nel linguaggio comune si tende a confondere i due prodotti: nel Triveneto ci si riferisce allo stoccafisso chiamandolo baccalà. Alcune delle più famose ricette, come il baccalà mantecato o, appunto, il baccalà alla vicentina, sono realizzate con lo stoccafisso.
Entrambi hanno in comune la materia prima, ovvero il merluzzo che viene pescato e dissanguato direttamente a bordo dei pescherecci. Si procede poi con il taglio del ventre e della testa. Dopodiché viene lavato e pulito in acqua corrente. Per fare lo stoccafisso il pesce viene essiccato all'aperto, grazie all'azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Il perfetto equilibrio tra sole e vento artico ha un ruolo fondamentale, perché il pesce si deve essiccare in modo uniforme. Inoltre, durante il periodo di essiccazione si effettuano costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l'altro. Questo perché la distanza deve essere tale da far circolare l'aria e non far sì che si formino macchie, muffa o residui di sangue che ne ridurrebbero la qualità del prodotto finale.
Per quanto riguarda il baccalà invece, il merluzzo attraversa un processo di salatura di circa tre settimane. Anche i periodi di produzione sono completamenti diversi: il periodo di produzione ed essiccazione dello stoccafisso va da febbraio a giugno, quando le condizioni climatiche sono migliori. Lo stoccafisso viene poi raccolto dopo essere rimasto circa tre mesi sulle rastrelliere. Al contrario, il baccalà è prodotto tutto l'anno. Questo perché non dipende dalle condizioni climatiche.
L'abilità sta nel conservarlo ma soprattutto nell'ammollo: una vera e propria arte che si sta perdendo perché richiede tempo e pazienza e non sempre i giovani chef sono disposti a sottoporsi a questa fatica. Ma è proprio nell'arte dell'ammollo che si determina la differenza tra chi tira fuori un grande piatto e chi, invece, si accontenta della sufficienza.
Una materia prima un tempo povero che adesso invece è sempre più ricercata e preziosa proprio per le sue caratteristiche, capace di entrare a pieno titolo nei locali fusion di stile giapponese che adesso vanno tanto di moda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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