Le voci del delirio di Ludwig trent'anni dopo la furia omicida

Mercoledì 10 Novembre 2021
LA STORIA
Dalla condanna definitiva del 1991 sono passati trent'anni. Tanti quanti quelli che Wolfgang Abel e Marco Furlan avrebbero dovuto trascorrere fra il carcere e l'ospedale giudiziario, se non avessero beneficiato della liberazione anticipata. Anche dopo tutto questo tempo, però, i due serial killer che terrorizzarono il Nord Italia restano un marchio indelebile nella memoria collettiva del Veneto: un fenomeno criminale a cui Storytel Italia dedica adesso il podcast Ludwig, il ferro e il fuoco.
Il racconto del giornalista Gianluca Ferraris è un viaggio in otto tappe fra gli omicidi e gli incendi, la furia moralizzatrice e il furore ideologico, il contesto perbenista delle famiglie agiate e lo sfondo cupo delle trame nere. Una narrazione calda, accesa dalle voci dei protagonisti di allora, fra ricordi e verbali. Rammenta l'avvocato Guariente Guarienti, parte civile al processo: «Sono stati scelti personaggi come il tossicodipendente o la prostituta, luoghi secondo loro di perdizione come la discoteca». I pezzi dell'inchiesta cominciarono ad essere messi insieme dopo l'ultimo attentato in un dancing, il rogo del 4 marzo 1984 al Melamara in provincia di Mantova, dove Abel e Furlan vennero bloccati vestiti e truccati da Pierrot. Commenta l'ex magistrato Mario Sannite, il giudice istruttore dell'epoca: «Veramente sono situazioni che fanno accapponare la pelle. Ma è possibile che si possa arrivare a un punto di perversione, o addirittura di incapacità di rendersi conto, per cui si mette a repentaglio la vita di 400 giovani, perché le discoteche sono il luogo del vizio?».
La loro amica Daniela fu la prima a collaborare con gli inquirenti che indagavano su quei rampolli della Verona-bene: «Avevano un modo di agire e di parlare molto diverso da quello dei loro coetanei, utilizzavano termini difficili e ricercati, discutevano di filosofia».
BRUTALITÀ
Eppure fin dal 1977 massacrarono con brutalità, ora a coltellate ora a martellate, un nomade a Verona, un omosessuale a Padova, un tossicomane a Venezia, una lucciola a Vicenza, due frati di Monte Berico, un prete a Trento. E appiccarono senza pietà il fuoco a un cinema a luci rosse di Milano in cui morirono cinque clienti e un soccorritore, a un sexy club di Amsterdam in cui persero la vita tredici persone, a una disco di Monaco in cui spirò una cameriera. I primi tre delitti furono rivendicati con una lettera recapitata alla redazione del Gazzettino di Mestre, scritta in caratteri runici e accompagnata dal disegno di un'aquila, che solleva con gli artigli la svastica nazista. Il podcast ripercorre la pista delle connessioni con l'eversione neofascista e ripropone l'ipotesi delle complicità rimaste nell'ombra. Confida la giornalista Monica Zornetta, autrice di un libro sulla vicenda: «Secondo me non ci sono solo Abel e Furlan dietro Ludwig. Loro sono solo l'ultimo anello di una catena molto pesante che è rimasta protetta fino ad oggi». «Ma lo scarso materiale probatorio e informativo, al di fuori di quello a carico dei due imputati, ci dice che non lo sapremo mai», sentenziò il verdetto di Appello a Venezia. Dei due, che hanno sempre respinto le accuse, restano le voci registrate in un vecchio servizio di Telenuovo. Liberi e sfrontati: «Innocenti? Certamente...».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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