LE SFIDE
Centoventicinque: un numero segreto, segretissimo per i russi che il

Domenica 11 Aprile 2021
LE SFIDE
Centoventicinque: un numero segreto, segretissimo per i russi che il 12 aprile di sessant'anni fa mandarono il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin. Tremila: il numero strabiliante di giri al minuto delle pale dell'elicottero Ingenuity, il primo velivolo terrestre più pesante dell'aria a decollare dal suolo di un altro pianeta, da Marte, domani, sempre il 12 aprile.
Cosmodromo di Bajkonur, allora Unione Sovietica, oggi Kazakhstan: l'addetto a stringere le cinture di sicurezza di Yuri Gagarin nel minuscolo abitacolo della navicella Vostok-1 si guarda attorno, attende che si sia allontanato il collega che ha appena dipinto CCCP in rosso sul casco del tenente pilota, poi abbassa il tono della voce e spiffera nell'orecchio del 27enne: «Centoventicinque, il numero segreto è 125». Gagarin sorride: «Grazie, sei già il trentesimo che me lo rivela».
LA SOPRAVVIVENZA
Il fatto è che il geniale ingegnere Sergey Pavlovic Korolev, già artefice nel 1957 del primo grande schiaffo spaziale agli Stati Uniti con il satellite Sputnik, non era certo che i cosmonauti sarebbero sopravvissuti soprattutto alla fase di rientro in cui le pareti della navicella si arroventavano in maniera terrificante (fino a 1600 gradi, come in un altoforno, si scoprirà poi) e così aveva previsto che quella prima e unica orbita di un uomo attorno alla Terra avvenisse in modo totalmente automatico per tutta la durata dei 108 minuti a una quota massima di 350 chilometri. L'obbiettivo era la gloria dell'Urss di Nikita Kruscev, che poi ci fosse la cagnolina Laika o un uomo (necessariamente basso come Gagarin: 157 centimetri) a bordo della Vostok non doveva creare interferenze. Ma Gagarin e i colleghi si ribellarono e ottennero, a fatica, che almeno in caso di emergenza potessero effettuare qualche manovra. Korolev però applicò una password top secret ai comandi, appunto 125, numero scritto in una busta sigillata e infilata nella plancia.
In realtà il primo cosmonauta non era per nulla preoccupato della sua incolumità: era passato davanti a tutti per la sua attitudine alla matematica e la capacità di restare tranquillo davanti a ogni stress affrontato in addestramento tanto che aveva 62 di battito cardiaco mentre era in cima al razzo R7 alto 31 metri e caricato con 180 tonnellate di carburante pronto al decollo. Determinanti, però furono i suoi natali: mamma contadina, papà falegname. Il secondo in graduatoria, German Stepanovic Titov, era figlio di un maestro elementare, ma Kruscev voleva che fosse uno dei più umili figli della grande madre Russia a compiere l'impresa delle imprese. Gagarin, poi, aveva anche un notevole senso dell'ironia e non se la tirava per nulla: per non perdere tempo nel tragitto in auto fra la città (persa nelle steppe kazake) e il cosmodromo decise di stabilirsi in una modesta casetta di legno vicina alle rampe di lancio. Quando la si visita si resta interdetti da quel tinello spoglio, dalla minuscola ritirata e dal cucinotto da cui il cosmonauta coraggioso è partito per arrivare poi in parata fino al Cremlino, acclamato da tutta la Russia e invidiato, e persino temuto, dal resto del mondo, a cominciare dal presidente J.F. Kennedy appena insediatosi e atteso dopo pochi giorni al disastro della Baia dei Porci. Sulle spalle di Gagarin poggiava la supremazia tecnologica e politica dell'Unione Sovietica che per paura di perderlo non lo mandò più nello spazio, salvo poi piangerlo, appena sette anni dopo, nella caduta, mai del tutto chiarita, di un Mig15. Una morte in giovane età come si conviene a un eroe, all'uomo che decollò con il sorriso salutando con la parola Partiamo! (Poyekhali) entrata nel mito, così come quella prima descrizione aliena della Terra: «Lo spazio è nero, molto nero, la Terra è magnifica e azzurra». Gli attribuirono anche la frase «Non ho visto Dio nello spazio», ma non era farina del suo sacco, mentre lo era il manifesto spontaneo e inascoltato: «Dovremmo difendere la bellezza della Terra, non distruggerla».
I FRATELLI WRIGHT
Dal primato del 12 aprile 1961 a quello di domani: Ingenuity (Ingegnosità) è la grande novità della missione di Perseverance, la star dei rover marziani in azione ormai da due mesi. Il mini-elicottero ha due bipale controrotanti in fibra di carbonio di un metro di diametro e pesa appena 2 chili (che su Marte valgono poco più di 7 etti). Funziona a energia solare e in automatico, perché è complicato pilotare da remoto un velivolo se i comandi impiegano 18 minuti ad andare e 18 a tornare: domani alle 4.45, con le sue due videocamere, si librerà per 40 secondi a 3 metri di quota e a non più di 100 metri di distanza dal rover-madre. Le immagini, anche in streaming grazie alla Nasa, arriveranno sulla Terra alle 10.15. Tanto rumore per uno svolazzo così? No, un piccolo volo per Ingegnosità, ma un grande balzo per la tecnologia aerospaziale che punta a schierare un altro mezzo di esplorazione: le sue pale girano a tremila giri al minuto, velocità strabiliante, 10 volte di più di quelle di un elicottero sulla Terra per compensare lo scarso sostegno ricavabile dall'assai rarefatta atmosfera marziana. E quei 3 metri di quota equivalgono a 34mila metri se comparati alla Terra, altezza irraggiungibile per un elicottero terrestre mai spintosi più in alto di 12.442 metri.
Del resto l'altro ieri Orville Wright, il 17 dicembre 1903 sulla spiaggia di Kitty Hawk nella Carolina del Nord, volò con il Flyer di legno e tela per 12 secondi a 3 metri di quota percorrendo meno di 50 metri: anche l'impresa di Gagarin e l'exploit di Ingenuity (che a bordo avrà un frammento del Flyer) sono cominciati quel giorno.
Paolo Ricci Bitti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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