LE RICHIESTE
VENEZIA In piena pandemia sono state sollecitate a uno sforzo ulteriore

Giovedì 10 Giugno 2021
LE RICHIESTE
VENEZIA In piena pandemia sono state sollecitate a uno sforzo ulteriore con comunicazioni urgenti da Comar e dal commissario straordinario per il completamento del Mose Elisabetta Spitz perchè «il Mose rientra - citando una delle stesse comunicazioni ricevute - nelle opere pubbliche di portata nazionale e non è possibile procedere ad un fermo dei lavori, ovvero a soluzioni alternative che di fatto ne rallenterebbero l'esecuzione».
E ora le aziende impiantistiche, non socie del Consorzio Venezia nuova, ma che hanno vinto una gara d'appalto europea e che vantano un credito di 26 milioni di euro, non ci stanno a veder ridurre la percentuale dei loro pagamenti, come prospettato dalla procedura fallimentare.
«Anche in seguito alle richieste pervenute - scrivono Siram, in associazione temporanea con Pederzani Impianti, Sirti, Abb con Idf e Comes; Radar, Del Bo, Mati sud, è stato garantito ogni regolare impegno, in pandemia, con una organizzazione specifica che ha tenuto conto di ogni dettaglio, con un incremento dei costi molto rilevante, con evidenti rischi per i lavoratori, raggiungendo in pieno l'obiettivo che era stato richiesto dagli organi istituzionali».
Nel 2020 e 21, nonostante i contratti prevedessero l'emissione di stati di avanzamento di lavori trimestrali, i sal sono stati mensili per creare un maggior flusso di cassa dal Provveditorato verso Cvn e verso Comar.
«Una maggiore produzione e stati di avanzamento lavori più frequenti hanno permesso al Consorzio di incassare ingenti somme dal Provveditorato, ma queste somme non sono state mai corrisposte alle imprese come previsto contrattualmente - protestano le imprese - quindi si evince un utilizzo non corretto da parte di Cvn Comar delle disponibilità economiche derivanti dagli incassi procurati dagli stati di avanzamento dei lavori delle imprese appaltatrici, utilizzati viceversa per altre partite».
L'accusa è dunque pesante: «Cvn e Comar, consci della situazione, hanno spinto le imprese alla massima produzione senza poi onorare i pagamenti dovuti e portandole di fatto al rischio del tracollo finanziario e conseguentemente al fallimento. È incomprensibile che, dopo gli annunci anche politici che nell'ultimo periodo hanno confermato come i fondi per completare il Mose siano disponibili, non si voglia onorare i crediti delle imprese che stanno lavorando e che dovrebbero portare a termine l'opera. In questo modo non solo non sarà possibile terminare l'opera, ma sarà in discussione la credibilità e la coerenza delle istituzioni coinvolte nella sua realizzazione».
E oggi si preannuncia una giornata delicata in tribunale. Ci sono ad esempio ditte creditrici, tra le non consorziate, che si oppongono all'omologazione della procedura fallimentare. Sostengono infatti che la radicale variazione della proposta di ristrutturazione del debito, inizialmente ipotizzata al 30 per cento, e successivamente ricalibrata, per alcuni, al 60-70 per cento, possa essere influenzata anche dallo sblocco dei fondi da parte del Cipess. E quindi non sarebbe più necessaria. Dunque ci sarebbe il rischio che un'eventuale autorizzazione della procedura potrebbe portare a «un'ingiustificato blocco delle azioni esecutive e quindi all'impossibilità di recuperare i crediti maturati dalle aziende, con effetti gravi e irreparabili».
Raffaella Vittadello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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