Le foto di donna Battaglia

Mercoledì 20 Marzo 2019
Le foto di donna Battaglia
L'ESPOSIZIONE
Tenuta all'oscuro di tutto fino all'ultimo. Sulla scelta delle fotografie e sull'allestimento. Eppure è una mostra che ha una genesi di due anni. Ma, nonostante questo, Letizia Battaglia ha potuto vederla, per la prima volta, solo ieri mattina. «Mi sono commossa» ammette, lodando anche l'allestimento. Lei è la prima donna europea a ricevere a New York nel 1985 il premio Eugene Smith per la fotografia sociale. Non bastasse nel 2017 il The New York Times la nomina tra le 11 donne, unica italiana, più rappresentative del 2017. Un po' meno blasonata in Italia, ma si sa nemo profeta in patria. Ieri la sua rivincita. A Venezia, in un luogo deputato per le rassegne prestigiose di fotografia, la Casa dei Tre Oci alla Giudecca. Fotografia come scelta di vita è il titolo della mostra in programma da oggi e fino al 18 ottobre 2019. «Ho lottato tutta la vita per appropriarmi di me, ci sono arrivata quando ho iniziato a fotografare».
IN BIANCO E NERO
Piuttosto tardi, dopo i 30 anni, lei che è nata nel 1935. Ma già un poco prima, del tutto inesperta, aveva eseguito gli intensi ritratti di Pier Paolo Pasolini. «Pasolini fu una luce, un mito». In comune l'essere controcorrente e l'ostilità degli intellettuali benpensanti. In tutto 300 fotografie, un record per l'organizzatore Denis Curti; molte inedite, ripescate dal suo archivio, peraltro poco organizzato. Una mostra e uno spazio fuori dalla logica del mercato, secondo Giampietro Brunello, presidente della Fondazione di Venezia. L'organizzazione è di Civita Tre Venezie presieduta da Emanuela Bassetti che questa mostra l'ha fortemente voluta, anche se, poi, nella sua discrezione, non ha rilasciato dichiarazioni. Curatrice Francesca Alfano Miglietti con il supporto di Marta Sollima, e di Maria Chiara Di Trapani. Le uniche che potessero frugare nell'archivio senza suscitare i sospetti di Letizia, donna di grande carattere, non sempre facile.
I FATTI TRAGICI
Molti identificano l'opera di Letizia con la sua documentazione dei fatti di mafia. Mafia, mafia, mafia, basta parlare di mafia. Parliamo di riscatto, di bellezza, di futuro. Eppure i cadaveri anche eccellenti ci sono. A volte è arrivata sul fatto quasi per caso. Attenta, però a documentarlo, e, insieme, a registrare le reazioni degli spettatori. «Consiglio di fotografare tutti da molto vicino, a distanza di un cazzotto, o di una carezza» ammette, però, il suo imbarazzo a riprendere un uomo in manette, perché in condizione di inferiorità. Mafia significa anche Palermo. «Con Palermo c'è sempre stato un rapporto di rabbia e di dolcissima disperazione. La sento malata e mi fa arrabbiare». Da qui il rifiuto di riprenderne la pur struggente bellezza. Piuttosto il suo sguardo si volge alle bambine e alle adolescenti, specie quelle con i capelli lisci, con le quali si identifica: senza trascurare le vecchie, con i segni di debolezza, a cui va tutta la sua pietas.
TANTI BIMBI POCHI UOMINI
Anche i bambini maschi che sorprende mentre, con la testa coperta, simulano il gioco dei killer. Meno presenti gli uomini. «Non fotografo quasi mai gli uomini, non mi vengono bene». Il che non toglie che li riprenda come dimostrano le foto di un comizio di Enrico Berlinguer, o quelle su Renato Guttuso, di cui mostra l'atelier. Tra le genti di spettacolo la preferenza va a Franca Rame, che anima una platea di ragazzi all'interno della palazzina liberty di Milano, un'icona della Milano degli anni Settanta. Altri due ritratti di donna si segnalano per la loro intensità: quello di Elvira Sellerio, elegante e sobria. Forse il primato spetta a Maria Lai, e ai suoi ottant'anni. Anche lei artista controcorrente, così radicata nella sua Sardegna, ma allo stesso tempo così proiettata in dimensione cosmica. Le foto sono prevalentemente in bianco e nero. Fatta eccezione per le ultime due del 2018: sono di una bambina che tiene la bandiera comunista.
Lidia Panzeri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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