LA STORIA
Un falò e una vacca. Il primo era il social, la seconda l'assicurazione.

Mercoledì 14 Marzo 2018
LA STORIA
Un falò e una vacca. Il primo era il social, la seconda l'assicurazione. Boschi della Val Carazzagno, ai piedi del Monte Grappa, provincia di Belluno, anni '50. Tra frasche e abeti, prati e sottobosco, un grumo di case dà vita a Fumegai, minuscolo borgo del Feltrino con vita pura, ma breve. Dì lì a poco boom economico e modernità innescano una micro-migrazione verso Arsiè, una manciata di chilometri più in basso, e le case di sasso vengono lentamente abbandonate. Primi anni Settanta, la gente scivola a valle, le stalle si svuotano, i focolai si spengono e la notte del borgo resta compagna delle stelle. Ma Fumegai, oggi, quarant'anni dopo, è ancora lì. Basta arrampicarsi verso l'alto dalla Rocca di Arsiè, lasciarsi inghiottire dal bosco ed eccolo lì, il paese. Uno tra i tanti borghi fantasma del Paese, come la vicina California, nell'Agordino, avvinghiati agli anni che furono mentre la natura prova a riprenderseli.
GIUSEPPINO
«Ce ne siamo andati nel '72 o '73, non ricordo di preciso», racconta Giuseppe Strapazzon, classe '41, detto Giuseppino e non Bepi come il Veneto vorrebbe perché di Giuseppe a Fumegai ce n'erano parecchi, e lui era il più piccolo. «Abbiamo lasciato il paese quando abbiamo comprato casa ad Arsiè, scegliendo la comodità. Che poi sì, è vero, era scomodo arrivare, qui ad Arsiè tutto è più semplice, ma io continuo a ricordare quei tempi, i tempi ai Fumegai, come i più belli». Ai Fumegai? Plurale? «Sì, perché i fumegai erano una famiglia. La famiglia di Toni Fumegà Bassani. Aveva fatto tutto lui, prima della guerra. Le prime case, il forno si può dire che sia stato il fondatore, faceva e gestiva tutto lui, con la sua famiglia. E vuoi per scaldarsi, vuoi per cucinare, era sempre in mezzo al fuoco, tutto un fumo Ecco perché li chiamavano gli affumicati. Toni Fumegà era il sindaco (sorride, ndr). Calzolaio, un giorno partì per Vicenza e nessuno l'ha più visto».
TONI FUMEGÀ
Quante famiglie vivevano ai Fumegai? «Eravamo una decina scarsa di famiglie, ma tutte numerose. Ci si aiutava, ognuno come poteva. Chi facendo il fabbro, chi il falegname, chi il muratore, chi facendo il fieno, chi la legna nel bosco erano le famiglie a far vivere il borgo, la comunità; non c'erano ansie, pensieri, non si viveva di fretta e non c'era bisogno di tanti soldi perché ognuno contribuiva a modo suo. E poi tutti avevano almeno una vacca. Era l'assicurazione (sorride, ndr) perché ti garantiva tutto quel che serviva: latte, formaggio, burro, vitelli Durante il giorno le donne lavoravano nei prati, in casa, era un continuo di mestieri da fare. Poi in estate si prendevano le bestie e si partiva, si andava due tre mesi in alpeggio, sul Monte Grappa. Erano le vacanze!».
VITA SEMPLICE
Il rapporto con la natura era quotidiano. «Il paese viveva grazie alla natura. Le case si facevano con quel che si trovava, dai sassi al legname. La nostra la costruì mio papà, Basilio, nel '40. Nel '73 l'ha venduta a dei padovani che ogni tanto andavano su, ma adesso credo non ci vadano da un pezzo. Io ogni tanto torno a vedere, è ancora tutto in piedi, anche se barcollante. Le case erano fatte bene, erano grandi, avevano anche 12 o 13 stanze; dai muri ai serramenti tutto veniva costruito in paese, chi una cosa chi l'altra: io ti facevo il muro, tu le finestre. In quegli anni i ragazzi si sposavano e portavano le donne lassù, per mettere su casa insieme. Era la Cortina dei poaréti (sorride di nuovo, ndr). Mi ricordo la mattina quando noi bambini si partiva per andare a scuola a Carassagno, a piedi, attraversando il bosco».
L'EMIGRAZIONE
Poi il bambino Giuseppe è cresciuto. «A 18 anni, appena ho potuto fare i documenti, sono andato nel Cantone di Neuchâtel. Da bambino ho fatto la scuola muratori ad Arsiè e così sono andato in Svizzera per due stagioni, benché non avessi molta esperienza. Ma quando tornavo andavo sempre lì, ai Fumegai, fino a quando insieme a Mario Bassani, mia classe, più o meno nello stesso periodo abbiamo lasciato il paese. Siamo gli unici rimasti dei Fumegai». Mario Bassani, anche lui del 1941, dei Fumegai non ha mai smesso di parlare e raccontare, lui che insieme a Giuseppino ne è la fondamentale tradizione orale. «Ma non siamo rimasti solo io e lui - corregge Mario - c'è anche mio fratello Giuseppe, Giuseppe Bassani, classe '39. Noi eravamo in tre, più mamma e papà. La nostra casa la costruì il mio bisnonno, sono tornato a a vederla due anni fa ed è ancora lì, ma è tutto abbandonato. A un certo punto non c'era più niente di cui vivere e piano a piano il paese è stato lasciato a sé stesso. Negli anni poi è passata tanta gente, qualcuno si è fermato per un po', ma adesso piove dentro e i serramenti sono spariti».
Alessandro De Bon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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