LA NARRAZIONE
Tre viaggi nella storia di tre diverse disfatte belliche, guidati

Mercoledì 28 Aprile 2021
LA NARRAZIONE Tre viaggi nella storia di tre diverse disfatte belliche, guidati
LA NARRAZIONE
Tre viaggi nella storia di tre diverse disfatte belliche, guidati da tre eroi veneti, prigionieri di guerra, anzi ostaggi perché costretti a vivere esperienze assolutamente non volute, gettati d'autorità sui campi di battaglia. Tre soldati semplici finiti in mano al nemico e tornati a casa, nel loro Veneto, dopo anni di sacrifici e di prigionia come vittime di altrettante tracolli dell'Italia Unita: Adua 1896, Caporetto 1917 e 8 settembre 1943.
IN PRIMO PIANO
I protagonisti di Ostaggi d'Italia (Exòrma editore, 228 pagine, 15 euro) sono un bellunese e due trevigiani: Domenico è un tagliapietra di Alleghe, che vive una prigionia tutta itinerante, trascinato su e giù per gli altopiani etiopi in peripezie a dir poco sconcertanti che vanno dal cibarsi di bacche e piante al sedersi a pranzo nella reggia di Menelik.
C'è poi Giuseppe, contadino di Marca e granatiere, prigioniero in diversi campi di concentramento. Il suo percorso è parallelo a quello di un grande della letteratura italiana, il sottotenente degli Alpini Carlo Emilio Gadda: vivono esperienze analoghe, ma senza mai incrociarsi perché Bepi è soldato semplice mentre gli ufficiali hanno altri trattamenti. Il nostro ostaggio alla fame assomma il martirio del lavoro forzato.
Infine la storia di Luigi che è un marinaio, pure lui trevigiano. Ottimista e sfrontato, trova sempre il verso giusto e la fortuna per cavarsela, anche quando incappa in uno dei momenti più terribili della Seconda guerra mondiale, il bombardamento di Danzica (dove perde l'amata Vuagia) e la battaglia conseguente in cui è costretto a vagare fra cadaveri e macerie.
I tre eroi-ostaggi vivono e narrano autentiche odissee e il riferimento al poema omerico appare quasi scontato vista la trama del libro, «ma - spiega l'autore Dario Borso - è davvero pertinente: per ironia della sorte, tre giovani soldati semianalfabeti iniziano a scrivere un diario. Così la loro sottomissione agli eventi si fa protagonismo della penna». I testi dei tre soldati sono riproposti in forma originale, spesso un misto di dialetto-italiano che rende ancor più forte e incisiva la narrazione.
L'AUTORE
Ostaggi d'Italia non è un romanzo storico né un libro d'avventura, tantomeno un saggio: è tutti questi generi messi sapientemente assieme per palati letterari davvero fini. Lo chef è Dario Borso, prof vicentino in pensione (ma attivissimo e multiforme) diventato negli anni un cacciatore di storie più che uno storico. Lui, 70enne docente di Storia della filosofia e di Estetica in due atenei di grande tradizione come la Statale e il Politecnico di Milano, aveva lasciato la sua Cartigliano - paesotto di 3000 anime in riva al Brenta - all'inizio degli anni Settanta per approdare sui Navigli. E lì non solo ha mantenuto, ma ha sviluppato ed esaltato le sue radici venete tanto da studiare ogni opera dei grandi della nostra letteratura, dal suo conterraneo Luigi Meneghello a Goffredo Parise, fino ad Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern e Giovanni Comisso, per citarne solo alcuni. Proprio le ricerche storiche di Comisso - ma non solo - hanno ispirato questo Ostaggi d'Italia in cui Borso recupera e rielabora criticamente tre diari di prigionia.
L'IDEA
Il nucleo originario del libro frutto di un lavoro decennale - è il diario del granatiere Giuseppe Giuriati di cui Dario Borso viene a conoscenza tramite una cugina. «Volevo approfondire molti aspetti, ma morto ovviamente il granatiere e pure il figlio nella casa avita ho trovato la nuora con i suoi due figli. Ho passato da loro parecchi sabati dell'inverno 2011 nella cucina con stufa e focolare. Auremma era sempre pronta a costellare il diario di altri ricordi e chiarirmi il significato di qualche termine trevigiano: l'idea del libro si è sviluppata da lì».
Confrontato con il manoscritto originale, l'edizione stampata sulla rivista l'Italiano e curata appunto da Comisso aveva parecchie difformità, dovute alla mano dello scrittore che nel 1934, in piena epoca fascista, aveva adattato le vicende allo spirito del tempo. «La stessa operazione aveva fatto - spiega Borso - nel giro di pochi anni per altri due soldati, quelli appunto della mia triade».
Nel libro si svela anche il movente segreto che ha innescato il difficile percorso storico di Ostaggi ed emerge un quarto eroe nascosto: il padre dell'autore - Andrea Borso, classe 1923 - che teneva a sua volta un diario segreto. Il piccolo Dario lo scoprì a sei anni e lo lesse di nascosto in solaio, ma soltanto dopo la morte del papà riuscì a decifrarlo per capire che il genitore fu un partigiano. «In tanti anni non mi parlò mai di quell'esperienza» conclude l'autore con malinconico realismo. Se il movente è dunque segreto (ma non troppo), l'obiettivo dell'opera è invece palese: contribuire al filone delle ricerche di storia orale, racconti dal basso di vite modeste assunte solo ora alla ribalta letteraria che meritavano.
Gigi Bignotti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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