LA LEGGENDA
Quando morivano, si chiamava Juliette Gréco: Serge Gaisnbourg,

Giovedì 24 Settembre 2020
LA LEGGENDA
Quando morivano, si chiamava Juliette Gréco: Serge Gaisnbourg, Françoise Sagan, Michel Piccoli. Lei li aveva conosciuti tutti, come Brel, Brassens, Prévert. E rispondeva sempre, con quella voce pazzesca, anche a novant'anni, che faceva diventare un recital anche un'intervista al telefono. Rispondeva sul quartiere di Saint-Germain-des- Près che stava morendo, rispondeva su quell'idea della Francia libera, ribelle, sofisticata che si appannava. Non si tirava indietro, ma sempre con il riso nella voce, un tono scanzonato. Ieri se n'è andata lei, per ultima, a 93 anni.
A Saint-Germain-des-Près non resta davvero più nessuno. «Per resistere alla fine, bisogna amare quello che si fa, alla follia, amare il proprio mestiere come lo amo io, ovvero in modo smisurato, esagerato, andare a cantare in una saletta in periferia, nel primo pomeriggio ed essere felici quando un ragazzo esclama alla fine: però, mica male Gréco!». Se qualcuno osava ricordarle che lei era un mito, o peggio ancora, chiederle che effetto fa essere una leggenda vivente, aver incarnato l'esistenzialismo con un gesto della mano, un'epoca con una voce, lei rideva, si spazientiva e rispondeva: il mito? L'ho fatto fuori, non c'è più.
L'ANNUNCIO
Ieri, a fine pomeriggio, è stata la famiglia a dare l'annuncio all'agenzia France Presse: Juliette Gréco si è spenta questo pomeriggio, circondata dai suoi, nell'amatissima casa di Ramatuelle. La sua è stata una vita fuori dal comune. Da Parigi se n'era andata da tempo. Anche al Cafè de Flore non passava più. Prima si era stabilita nella sua casa in banlieue, nell'Oise, e poi in Provenza, in quel Sud, dove era nata nel 1927, a Montpellier. Figlia di un commissario corso, assente da subito, e di Juliette, con cui i rapporti furono sempre caotici. Arriva a Parigi piccolissima, per vivere con la nonna, sogna di diventare ballerina, entra alla scuola di balletto dell'Opera quando scoppia la guerra. Sua madre entra in resistenza, è arrestata e deportata, lei è troppo giovane: dopo tre settimane di carcere la liberano. «Mi sono ritrovata a Saint-Germain-des-Près, sulla piazzetta, vicino a una pensione dove vivevo. Mi sono messa a cantare Over the rainbow, perché le canzoni americane erano vietate. Eccola Juliette Gréco. La guerra è appena finita e lei decide di finire gli studi nei bistrot.
Al bar del Montana incrocia Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir (è Sartre che la incoraggia a cantare L'Eternel Feminin e Si tu t'imagines), alla Rhumerie martiniquaise discute con Albert Camus, al bar del Pont-Royal con Maurice Merleau-Ponty. Ma è nello scantinato del Tabou che nascono una generazione e un'epoca nuove. Ci sono Roger Vadim, Boris Vian, passano Duke Ellington e Miles Davis (che le propone di sposarlo, ma lei rinuncia perché non vuole lasciare Parigi, non perché i matrimoni misti erano ancora proibiti in molti stati americani), c'è musica, filosofia e poesia, ai tavoli siedono Sartre, Raymond Queneau, Antonin Artaud, Merleau-Ponty: gli intellettuali imparano da questi ragazzini che la gente ostile del quartiere chiama i trogloditi.
L'AMORE
Sposa l'attore Philippe Lemaire con cui ha una figlia, Laurence-Marie (morirà di tumore a 62 anni, nel 2016, lo stesso anno in cui lei è colpita da un ictus). Ha una relazione con il produttore Darryll F. Zanuck, che la porta al cinema (lavorerà anche con Orson Wells) poi sposa Michel Piccoli: resteranno insieme per 11 anni. Come in Je suis comme je suis, rivendica di amare chi la ama, «e non è colpa mia se non è sempre lo stesso».
GLI STUDENTI
Negli anni Sessanta, canta dovunque, spesso gratis, per gli studenti e gli operai, spesso nei centri sociali, e diventa una star anche in tv, con la serie Belfagor. La amavamo ha scritto ieri Le Monde sul sito, subito dopo la notizia della morte: per tutto, anche per i difetti, quando dimenticava le parole di una canzone, quando esitava.
Quando esagerava, quando gesticolava, quando rideva (tantissimo): pochi hanno saputo incarnare la Francia come la Greco quando cantava Les feuilles mortes o Sous le ciel de Paris, o Je hais les dimanches di Aznavour o Jolie Mome di Leo Ferré, che la consacrò per sempre sul palco dell'Olympia nel 1954. Jujube ha sfidato e è sopravvissuta alle epoche e alle mode.
Molti giovani autori hanno continuato a scriverle canzoni per gli ultimi album. «Sono le parole che dettano i gesti», diceva. Nel 2015, a 89 anni, l'ultima tournée, con l'addio al Theatre de la Ville, dove nel 1968 aveva cantato per la prima volta uno dei suoi successi: Déshabillez-moi. «Sono un clown nella vita di ogni giorno raccontava qualche anno fa Amo ridere sopra ogni cosa. La più grande arma di seduzione è l'umorismo, la derisione, l'intelligenza».
Quella ragazza strana, esile e nervosa, a cui la gente degli anni Cinquanta rimproverava un fisico ingrato ha continuato a meravigliarsi fino all'ultimo del successo e dell'amore del pubblico. A chi gli chiedeva il segreto di tanta longevità non poteva far altro che rispondere: «chiedetelo a loro, che vengono a vedermi».
Francesca Pierantozzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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