La fatidica data del 30 Giugno è ormai alle porte, fatidica non dovrebbe essere

Giovedì 24 Giugno 2021
La fatidica data del 30 Giugno è ormai alle porte, fatidica non dovrebbe essere visto che i licenziamenti solo in Italia sono rimasti bloccati da ben 16 mesi, ma a renderla tale sono le pressioni dei sindacati, sempre più ancorati a difese del posto di lavoro obsolete nella forma e nei fatti, e di una parte del governo che volendo riconoscersi nei lavoratori dipendenti preme sullo stesso vetusto tasso del tutela ad ogni costo del posto di lavoro, che è stata una necessità fondamentale fino a trenta e passa anni fa , in cui l'industria fisica era dominante e varie crisi o pseudo tali venivano magari anche costruite ad hoc da parte dell'imprenditoria senza vision. Adesso l'impresa, ovvero l'occupazione, ha la possibilità di vivere solo se dispone di parametri che le consentono di competere ben oltre i confini: fondamentali finanziari per accedere a finanziamenti in grado di garantire investimenti in innovazione, ricerca, e formazione. L'assenza anche di uno solo di questi fattori determina claudicanza che può tradursi in batter d'occhio in crisi e quindi di cover ricorrere alla formula del licenziamento, che comunque è sempre da preferire a quella di tentare di stare in piedi utilizzando sotterfugi in termini di trasparenza e sicurezza. Chi ha saputo costruire imprese sui pilastri citati, oggi ha solidità, anche se ha limitate dimensioni, e quella solidità è rafforzata dalle maestranze occupate, le quali avvertono un senso di appartenenza che è motivato non solo dai salari e premi derivanti, dall'efficienza e qualità, ma anche una formazione permanente in grado di rendere il lavoratore ambito sul mercato, quindi da tenere stretto e continuare a coinvolgerlo e stimolarlo. L'imprenditoria veneta, e più in generale quella settentrionale, ha saputo impostare presente e futuro su investimenti e innovazione mettendo a pari livello la formazione e oggi c'è da scommetterci a licenziare sarà una minoranza infinitesimale, non è nelle corde dell'imprenditoria veneta di ricorrere ai licenziamenti per abbassare i costi e assumere nuova forza lavoro meno costosa ma anche alle prime armi e quindi da formare, meglio tenersi chi lo è già , magari se la domanda tira, integrandola con nuove assunzioni.Sicuramente in altre parti d'Italia, prevalentemente nel mezzogiorno, dove i principi elencati non dico siano arabe fenici, ma sicuramente non sono massificati a livello imprenditoriale, non si può certo escludere che scattino un numero elevato di soggetti in uscita, determinando un ulteriore impennata della disoccupazione, che in certe aree è quattro volte superiore a quella del Veneto e di media è abbondantemente raddoppiata,ma le motivazioni o meglio le causa deriva da un concorso di colpa tra politica, sindacati e imprenditori e oggi più che mai la Confindustria nazionale dovrebbe spingere i suoi associati meridionali a clonare i comportamenti di quelli veneti in modo da rincorrere a cominciando un recupero che riduca un gap che è in costante crescita da molti e molti lustri.Non si tratta di vittorie del nord e sconfitte del sud, ma bisogna prendere atto che partendo per lo più da aree disagiate ad ampio raggio ,l'imprenditoria veneta, in concorso con le amministrazioni locali, ha saputo, in meno di trent'anni, rilanciarsi completamente diventando traino dell'intero Paese.
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