La corriera della morte e la grande fuga dal Po

Domenica 14 Novembre 2021
La corriera della morte e la grande fuga dal Po
LA STORIA
Il maggior numero delle vittime fu a Frassinelle, in quella che chiamarono la corriera della morte, anche se era solo un camion pieno di gente che scappava da Rovigo per l'alluvione. Morirono in 84 quel 14 novembre 1951, era una notte buia, nera come il cielo e l'acqua che copriva tutta la terra. Nera come la paura. Erano fuggiti prima della mezzanotte, dopo che il giornale radio aveva dato le ultime notizie: Il fiume Po ha superato di 80 centimetri la massima piena e continua ad aumentare, causando una situazione addirittura tragica in provincia di Rovigo. Poi erano saltati i collegamenti e anche il telegrafo. La gente di Frassinelle, Pincara, Fiesso, Bonaguro per cercare di tornare a casa si era aggrappata al camion, arrampicata sul tetto, al cassone strapieno. Alle tre del mattino sotto un cielo scuro nel quale non si erano mai affacciati la luna e nemmeno una stella, il camion si era fermato: la strada non si vedeva più, l'acqua era salita mescolandosi alla nafta, i fari si erano spenti. Il terrore aveva fatto il resto. Quando l'alba livida del 15 novembre illuminò la scena, i sopravvissuti, in gran parte donne e bambini, si accorsero che i corpi dei loro compagni di viaggio galleggiavano su un'acqua che quasi non si muoveva più. Soltanto nel pomeriggio, alle 16, l'agenzia di stampa Ansa diffuse la prima notizia ancora imprecisa: Un camion del comitato di emergenza, che pare fosse carico di una quarantina di persone, che erano state salvate e che dovevano essere trasportate in zona non alluvionata, è stato completamente sommerso da una enorme massa d'acqua tracimata dall'improvviso, è stato completamente sommerso e tutte le persone che si trovavano a bordo, eccettuate sette che sono state ricoverate all'ospedale civile a Rovigo, sono da considerarsi annegate. Il camion era guidato dallo stesso proprietario, comm. Attilio Baccaglini, industriale del vetro.
TRA I DUE FIUMI
Il camion della morte è soltanto uno, certo il più tragico, degli aspetti terribili dell'alluvione di 70 anni fa. Il Polesine è terra pianeggiante, la delimitano i due più grandi fiumi italiani, l'Adige al Nord e il Po al sud; a est c'è il mare Adriatico. È terra racchiusa dall'acqua, un insieme di tante isole fluviali, i polesini. Dopo una guerra che da queste parti era stata sanguinosa e disperata, quanto può esserlo una guerra anche civile, il Polesine aveva dato segnali sorprendenti di ripresa. In pochi anni la popolazione era raddoppiata, fino a 360 mila abitanti, 198 per Kmq, la densità più alta d'Italia. Troppi per un'economia ancora debole. Le bonifiche avevano reso coltivabili migliaia di ettari ed era l'agricoltura a farla da padrona dando lavoro al 60% dell'occupazione. Anni anche turbolenti, di scioperi tra campi e stalle, di arresti in massa. Il dio de villan l'è la carriola / el so sacro santo è la badila: il dio dei contadini è la carriola e il badile il suo spirito santo, diceva un canto. Quasi 40mila polesani non sanno leggere e scrivere. L'industria non supera il 23% dell'occupazione ed è fatta di zuccherifici, pastifici, fornaci, canapifici; il reddito pro-capite è di 130mila lire all'anno, quello dell'Italia settentrionale di 217 mila. La terra sprofonda dove l'Agip di Enrico Mattei ha concentrato i pozzi per il metano, ottanta centrali con 1200 dipendenti tra Adria e il mare, in nove mesi sono stati estratti 180 milioni di metri cubi di gas.
Terra di emigranti, di fame e di pellagra, che finalmente può offrire lavoro e combattere la fame, nemico terribile dei bambini del Po. Putei del Po / coi oci sbigotii / le manine gelae / i pinini scalzi / manine che mai ga streto un zorno che non fosse da fame, dicono i versi di Romano Pascutto. Su tutte queste speranze quel novembre del 1951 piove come nessuno ricordava da almeno trent'anni e i fiumi dalle montagne scendono gonfi e riempiono l'Adige e il Po che si avvicina rapidamente ai livelli di guardia, raggiungendo misure mai registrate dal 1857. L'Adriatico non ce la fa più a ricevere una massa di quelle proporzioni e lo scirocco non favorisce il deflusso.
IL DRAMMA
Nel Polesine gli argini non reggono quando il 13 novembre il Po supera di tre metri e mezzo la misura. A Porto Tolle un bambino che sta giocando sull'argine cade e l'acqua lo travolge; è la prima vittima polesana dell'alluvione. Le agenzie incominciano a raccontare in termini sempre più drammatici. 14 novembre, mercoledì: La rotta del Po nell'area di Occhiobello si è verificata attraverso tre grandi falle ne è stata allagata tutta la zona che tra il Po, la fossa di Polesella e il Canal Bianco si estende per 40 mila ettari. Circa duemila alluvionati sono affluiti in serata con automezzi di soccorso a Rovigo. Il fiume travolge tutto, prima a Canaro, poi a Occhiobello. Da tre varchi si scaricano sul Polesine 8 miliardi di metri cubi d'acqua melmosa, mezzo milione di metri cubi al secondo. La piana avanza verso Fiesso, Pincara, Frassinelle, Polesella. La gente da Pontecchio, Crespino, Villanova Marchesana, Papozze, cerca di mettersi in salvo come può: Una ventina di persone si sono rifugiate in un isolotto che emerge, ultimo lembo di speranza, dalla massa grigia delle acque che seppellisce i campi e le case, un elicottero dell'aeronautica tenterà il salvataggio (ore 23); Un barcone di sfollati a Piacentina di Occhiobello urta contro le lance di un cancello sommerso, si squarcia e sprofonda. Tutti donne e bambini, 24 si salvano, 4 bambini muoiono annegati (ore 24). A Polesella otto persone che si trovavano da 52 ore appollaiate su tre alberi sono state tratte in salvo Uno dei salvati, di recente operato, aveva ancora gli arti superiori ingessati. Una donna, ieri, aveva abbandonato la presa ed era scomparsa nelle acque limacciose.
Fuggono a decine di migliaia, tra gli sfollati l'uomo più vecchio del Polesine, Felice Borsari, 101 anni: non si era mai mosso dal suo paese. Il 16 novembre nel pomeriggio arrivano il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, con la moglie, e il ministro dell'Agricoltura Fanfani. Incomincia la sistemazione dei profughi rimasti senza tetto. A Padova sono stati accolti e sistemati circa 12.500 profughi della zona alluvionata di Rovigo. Altri 7500 sono stati avviati a Verona e 2600 a Vicenza. Altri 5000 profughi sono giunti a Ferrara (Ore 12 del 17 novembre). Quando finalmente l'acqua si ritira, resta un mare di fango. La gente ha perduto tutto. Il bilancio è drammatico: 101 morti, 100 mila sfollati, seimila case distrutte, 40 mila capi di bestiame perduti, centomila ettari sommersi.
NUOVO MONDO
Tutto è laguna e sembra essere tornati alle origini del mondo, annota il cronista del Gazzettino. A Loreo due giovani si sposano in barca, passeranno la prima notte in canonica, l'unico locale asciutto. La gente ha fatto una colletta per il loro viaggio di nozze a Roma. Si chiamano Gabriele Marangoni e Solidea Benedetti, lui ha 24 anni, lei 19. A scattare la fotografia che farà il giro del mondo è un veneziano, Celio Scapin, di Camerafoto l'agenzia che lavora per il Gazzettino. Ha saputo del matrimonio, s'impossessa di un sandalo abbandonato e a remi raggiunge Loreo. Arriva a cerimonia già finita, ma convince il parroco a ripetere almeno il gesto della benedizione degli sposi. Alla coppia arriveranno regali da ogni parte del mondo. A unire l'Italia nella solidarietà, che scatta fortissima, è la radio che una sera di fine novembre trasmette l'intervista a una mamma polesana che ha perso tutto e nel sottofondo si sente un bimbo che piange.
Il Gazzettino riferisce di un operaio di Marghera che si ferma davanti al Cral della Montedison, si toglie il giubbetto di pelle e la lascia per i profughi; si allontana in bici in maniche di camicia. Sul Gazzettino i profughi si scambiano informazioni: Maria Fusato coi 5 bambini informa il marito Ferro di trovarsi a Chirignago. Il futuro ricomincia. Ma è segnato per sempre. In dieci anni il Polesine perde quasi centomila abitanti che si disperdono tra Torino, Genova e Milano. Anche più lontano, fino all'Australia. Ancora nel 1960 se ne andranno 50 polesani al giorno.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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