L'uomo delle cave cambia tela

Domenica 24 Giugno 2018
L'uomo delle cave cambia tela
IL PERSONAGGIO
Un museo a cielo aperto che fra qualche anno verrà completamente mangiato dalla natura e dall'usura causata dagli agenti atmosferici: dopo trent'anni anni le cave di Rubbio hanno imboccato il viale del tramonto. Rubbio è un paesetto abbarbicato alle pendici del Grappa, amministrativamente diviso tra i comuni di Bassano e Conco, meta degli amanti del volo libero che si gettano per gli spericolati tuffi verso la pianura vicentina. Zona boschiva e pietrosa. Rocce di scarso pregio, ma buone per fare muri e costruire case. Ed infatti la montagna è traforata dalle cave, quasi tutte ormai dismesse. È qui che Toni Zarpellon, pittore di Marostica, ha realizzato il suo capolavoro artistico: trasformare un cumulo di pietrame in un'immensa opera d'arte da vivere e toccare. Una montagna colorata, un caleidoscopio che avvolge il visitatore e lascia spazio alla fantasia.
IL PELLEGRINAGGIO
Dal 1989 Rubbio è diventata meta di un pellegrinaggio di curiosi, ma anche amanti dell'arte e studiosi, attratti dall'unicità di questi anfiteatri naturali, trasformati in gallerie d'arte. I visitatori sono stati oltre 500mila, moltissime scolaresche e persino gruppi religiosi che hanno celebrato la messa. Ma sarà ancora così per poco, perché Zarpellon ha deciso di chiudere l'esperienza: da mesi non torna alle cave, non le dipinge e nemmeno le ritocca per contrastare il degrado inevitabile. «Termina un sogno durato tre decenni - racconta l'artista ma come tutti i sogni era destinato a finire. È stato un piacere, ho provato benessere corporale e mentale da questa esperienza, ora inizio un nuovo periodo delle mie ricerche visive, tese a scoprire qualcosa che è ancora latente dentro di me».
Quella di Zarpellon, artista quotato, ma piuttosto refrattario alle luci della ribalta e ai salotti, che da tempo ha superato la soglia dei settant'anni, è stata una vita fuori dagli schemi, che lui riassume con immagini forti, come la sua pittura. «Mi sono sentito sradicato dalla natura e la mia opera-simbolo è l'uomo crocifisso che viene sodomizzato da un aereo, che ho disegnato nel lontano 1965. Ormai la tecnologia ha avvolto il pianeta Terra, siamo costantemente bombardati da suoni, anzi rumori, immagini, messaggi di morte. Ho passato anni difficilissimi: insegnavo arte a Nove e all'istituto ai Carmini a Venezia, ma mi sentivo chiuso in una gabbia artificiale. L'unica forma di libertà per me è disegnare, ne ho un bisogno fisico».
Dopo la crocifissione, la resurrezione che per Zarpellon si chiama Rubbio. «Ero stanco di fare mostre nelle gallerie in città, cercavo un garage, un magazzino, un buco per esporre le mie opere lontano dal caos. Ho trovato il deposito delle corriere di Rubbio, il Comune me lo ha dato per un mese. E in quell'occasione ho scoperto le cave. Mi è sembrato di entrare nell'utero materno, mi sentivo protetto e stimolato. Le cave erano ricoperte di sterpaglie e immondizie. Ho provato il piacere fisico di ripulirle e ho cominciato a colorare le pietre. Un uragano si è sprigionato nel mio corpo. Come il processo maieutico di Socrate: ho tirato fuori quello che c'era dentro di me».
Ma l'uomo delle cave che cercava l'isolamento ha dovuto fare i conti con la celebrità. Rubbio è diventato un caso, finito alla ribalta delle cronache e oggetto di reportage e servizi televisivi. Comitive di turisti in pullman hanno cominciato a visitare quel luogo magico, dove le pietre quasi parlano, però questa volta Zarpellon non è fuggito: «Era diverso, sono rientrato in circuito con la società restando fuori dal sistema». Un successo travolgente a partire dal 1989 che ha portato Zarpellon a decidere di vivere nelle cave, dentro l'utero che lui ha riempito di marmitte, serbatoi di benzina e pezzi d'automobile, centinaia di scalpi che ha appeso lungo le pareti rocciose. Non servivano più a nulla, la natura di Rubbio non aveva bisogno del motore. Ora questa luce si è spenta.
IL CAPITOLO CHIUSO
Zarpellon ha deciso la fine delle cave e si è ritirato in un altro antro sulle alture sopra Marostica. Un vecchio casolare restaurato in maniera pazzesca, riempito con migliaia di quadri, disegni, schizzi. Vive assieme alla sua modella, che appare nuda in decine di quadri accatastati alle pareti. «Ma lei arriva solo nel tardo pomeriggio. Di giorno sono solo, in compagnia del silenzio». Niente televisione. C'è però una sala tv nel cortile: decine di vecchi apparecchi a tubo catodico e Pc di prima generazione, messi in fila, e una serie di panche vuote: non funzionano e nessuno li guarda: questa è la tecnologia che piace a Zarpellon. Un visionario che, quasi per una nemesi, vive su un terreno di un altro visionario, Renzo Rosso. «Quando ho scoperto il casolare non sapevo di chi fosse, dopo un po' che ci vivevo ho pensato che fosse giusto avvertire il proprietario e mi hanno detto che era il padrone della Diesel. Con Rosso ci siamo messi d'accordo con una stretta di mano». Diciamo che è un'occupazione autorizzata.
Nella nuova tana («Ma non sono un eremita, mi piace anche viaggiare e andare a vedere cosa fanno gli altri artisti») Zarpellon ha trovato una seconda giovinezza. Il casolare è diventato un atelier dove colori, schizzi, montagne di libri, cataste di quadri formano un unicum. Una massa dentro cui si muove l'artista. «Io passo la vita a disegnare, per me è come respirare racconta mentre scarabocchia su quaderno Prendo un foglio bianco e lascio che la mano vada». Una produzione bulimica a cui lui non dà importanza, gli piace mostrare i suoi lavori, ma non cerca gloria. Un personaggio spontaneo, che ha una sola grande ricchezza: la libertà assoluta. Gli chiedo se mi accompagna alle cave. S'irrigidisce: «Quello è un capitolo chiuso. Non credo che tonerò più a Rubbio, lascio che la natura torni padrona delle cave».
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci