L'invettiva dell'imam che spaventa S. Donà

Mercoledì 6 Agosto 2014
L'invettiva dell'imam che spaventa S. Donà
Un colpo duro, durissimo agli sforzi di integrazione e di conoscenza reciproca. L'espulsione di Abdelbar Raoudi, l'imam accusato di aver incitato all'uccisione degli ebrei, potrebbe avere delle gravi conseguenze sul dialogo intrapreso non solo a livello di credo religioso, ma anche a livello sociale.
Si teme infatti che nell'opinione pubblica torni a diffondersi il messaggio che l'Islam predichi l'odio, la guerra, lo sterminio degli infedeli. A gettare acqua sul fuoco è Youssef Lghanjou, fondatore e presidente dell'"Associazione islamica per la pace", con sede in via Calnova 116 a San Donà, presso il centro Heliantus, che vede una quarantina di aderenti. In Italia da 25 anni - «più di metà della mia vita» sottolinea con spiccato accento veneto - il 44enne marocchino ora risiede a San Stino, sposato, tre figli, lavora con un ruolo di responsabilità in un'azienda del settore alimentare. Ed è per questo suo trasloco che nel 2011 ha lasciato la guida dell'associazione, retta ininterrottamente dal 2006, anno della sua costituzione. Per riprendere in mano il testimone lo scorso anno, dopo la "scissione" che ha segnato la nascita di "Arrahma", che significa "misericordia", l'associazione frequentata appunto da Raoudi, e finita nell'occhio del ciclone. Per distinguerla da quella "madre", tutti la indicano come "quella di Noventa" anche se la sede, presso il centro Aquilegia ricade seppur per qualche metro nel comune di San Donà.
Sui motivi della separazione tutti tergiversano. Questioni amministrative alla fine dicono a denti stretti. Ma su una cosa i giudizi sono perentori: non si è trattato di alcuna contrapposizione ideologica tanto più concernente derive integraliste o fanatiche. In mezzo però c'è anche l'arresto dell'x imam Ahmad Chaddad, nel luglio 2012, accusato di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e sospettato di aver collegamenti con organizzazioni terroristiche.
«Nessuno qui predica l'odio e la nostra religione è una religione di pace. Quel giovanotto, di cui è vero ho sentito parlare - continua Youssef - non lo conosco e sinceramente non ho ancora avuto il modo di ascoltare quello che ha realmente detto. Ma se fosse vero quanto è stato diffuso allora per lui fra di noi non c'è posto. Posso dire che stento a credere che possa aver detto di uccidere gli ebrei anche perché noi in Marocco abbiamo una buona percentuale di ebrei che professa la stessa nostra fede. Piuttosto voglio pensare che abbia condannato chi uccide i bambini, tutti i bambini, senza distinzione alcuna di nazionalità o religione». «E poi - precisa Youssef - è sbagliato parlare di imam, perché si tratta di una persona come tante che conosce più a fondo il Corano e quindi a volte pronuncia il sermone durante la preghiera comunitaria».
«Cosa fa la mia associazione? Insegna innanzitutto il rispetto dell'altro, lontano dalla propaganda politica. E trasmette i valori del nostro paese, compresa la lingua, nella consapevolezza che si deve ringraziare il paese, l'Italia, che ci ha accolti offrendoci un'occasione di riscatto e di futuro. E poi - conclude Youssef - aiuta chi di noi è in difficoltà e soprattutto chi delinque per riportarlo sulla strada giusta».
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