L'INTERVISTA
Un giorno in televisione a prendere di petto l'interlocutore. Con

Giovedì 25 Aprile 2019
L'INTERVISTA Un giorno in televisione a prendere di petto l'interlocutore. Con
L'INTERVISTA
Un giorno in televisione a prendere di petto l'interlocutore. Con sfuriate che, quotidianamente passano alla storia. E ancora: sempre in tv per spiegare le derive della sinistra, le sue trasformazioni e i suoi peccati. Insomma, sempre sulla cresta dell'onda. Massimo Cacciari, 74 anni, non è solo uno dei maggiori filosofi italiani; è stato parlamentare e sindaco di Venezia (In questa città non mi ci vedrete più se non decidete prima di cospargervi il capo...) dice tra il serio, il serissimo e una buona dose di ironica perfidia. Sennò che gusto c'è. Grande cultura, grande fascino e tanti libri. Almeno sessanta, oltre a saggi, interventi, riflessioni.
In questi giorni Cacciari, che è docente emerito all'Università San Raffaele di Milano, ha pubblicato un piccolo saggio dal titolo La mente inquieta (Einaudi, 18 euro): un'opera sull'umanesimo dove percorre e si muove non solo in un itinerario estetico-artistico, ma anche (e soprattutto) del pensiero.
Un viaggio nelle idee e nelle personalità di un periodo fecondo che ha caratterizzato la storia della nostra Penisola. Un fase straordinaria, ma ricca di contraddizioni e questioni aperte. Come se improvvisamente noi tutti fossimo proiettati in quell'epoca.
Professor Cacciari perchè oggi un saggio sull'umanesimo? Cosa ci può dire oggi quel periodo della nostra storia?
«Si tratta di una ricerca iniziata una quarantina di anni fa che mi vide allora come oggi in sintonia con grandi intellettuali come Manfredo Tafuri, per molti anni docente ben noto a Venezia. E non è un caso che proprio in questi giorni siano usciti saggi importanti come quello di Michele Ciliberto e di Alberto Asor Rosa. L'Umanesimo fu un periodo di crisi, ricco di contraddizioni e di cambiamenti repentini. E allo stesso tempo si registrò una profonda decadenza dell'Europa. Era una epoca di grandi trasformazioni».
Sembra una metafora dell'oggi...
«Senza troppo attualizzare non vi è dubbio. Ma vi è una sostanziale differenza. Allora i grandi intellettuali del tempo operavano, rappresentavano, discutevano su questi cambiamenti. Ne erano parte integrante. Erano dei protagonisti. Vivevano quella crisi. Non avevano interesse a rappresentarla, ma la studiavano, la conoscevano, la vivevano e la studiavano. E soprattutto lottavano coscientemente per una nuova idealità»
In che modo?
«Cercavano, e vi sono riusciti anche con successo, e trovarono nuovi linguaggi, forme d'arte rivoluzionarie, prospettive. Ed erano ben lontani dall'essere sommersi o pessimisti. Basti pensare a ciò che realizzarono nelle tecniche; nell'architettura, nell'arte, nella lingua».
Insomma, novità e cambiamento.
«Un modo di voler essere classici. Di non abbandonarsi alla memoria, ma di mettersi all'opera. Fare nuove opere».
E quindi è tempo di riscoprire l'Umanesimo...
«Vediamoci oggi: guardare il web, avere il cellulare, soggiacere al moderno è in realtà un presente sradicato, un galleggiare costantemente senza meta. Inseguiamo la crisi senza realmente conoscerla».
Ne siamo preda.
«Machiavelli, uno dei più grandi filosofi del Vecchio Continente, parlava di carattere repubblicano. Andare alla ricerca di quel modello significa ritenere il dialogo centrale. E quindi ogni discussione è fondamentale».
Professore, qui torniamo ad agganciarci alla realtà di oggi. Non è un caso che nel libro si parli di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339) e dell'«Allegoria del Buon Governo»
«Un grande Stato è tale se c'è dialettica, se c'è dialogo. Se c'è un ethos comune. Se tutto questo manca, mancano i presupposti. Se manca l'ethos, non contiamo nulla».
Scatta così la nostra mente inquieta...
«No. Non faccio riferimento alla paura, ai timori, all'ansia o alle preoccupazione. Io mi identifico, lotto, discuto sull'«inquietudine» che combatte l'ozio. Perseguo una smania di conoscenza e del sapere che era quella che caratterizzava i grandi intellettuali dell'Umanesimo. La mia inquietudine non è paura, non è agitazione. Non è provocazione. Ma è quella del cogito. Che ci permette di essere concreti».
Di essere vivi
«Di essere autentici, di capire in che mondo viviamo. Non sono mai stato per un'azione che serve a fare quattrini, pur rendendomi conto dell'importanza dell'economia, ma punto allo spirito del lavoro secondo una distinzione semplice ma efficace».
Ovvero?
«C'è differenza tra i concetti di labor e quello di opus. Il primo è operazione tecnica; il secondo assomma il valore di un'opera. Con un criterio fondante: quello dell'amicizia».
Concordia, quindi
«Il senso di repubblica sta anche nel rapporto di amicizia. Su vincoli di fraternità. Perchè c'è un bene più alto. Perchè c'è una comunità e in essa si vive in forma condominiale».
Inquietudine, azzardando, come bene prezioso.
«L'amicizia in senso sociale è un dono che dobbiamo preservare. La Cina, la Russia oggi come li vediamo sono regimi autoritari. E possono farne a meno. Possono anche fregarsene dell'«inquietudine della conoscenza».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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