L'INTERVISTA
Si comincia. Finalmente. Da sabato 22 maggio apre la 17. Biennale

Martedì 18 Maggio 2021
L'INTERVISTA Si comincia. Finalmente. Da sabato 22 maggio apre la 17. Biennale
L'INTERVISTA
Si comincia. Finalmente. Da sabato 22 maggio apre la 17. Biennale Architettura a Venezia ai Giardini di Castello e all'Arsenale. L'esposizione resterà aperta fino al 21 novembre. Ne abbiamo parlato con il presidente della Fondazione, Roberto Cicutto.
Presidente, con un anno di ritardo a causa del Covid, ma finalmente il grande momento è arrivato.
«È una grande gioia. Prima perchè sono presenti 61 Paesi, e 120 architetti e una quantità di installazioni. La seconda è che la mostra è rimasta quella concepita dal suo direttore Hashim Sarkis; la terza è la soddisfazione di vedere che la scienza ci ha dotato di un vaccino e che ci fa sentire tutti più rilassati. Infine vi è l'orgoglio di guidare un'istituzione che ha avuto una grande capacità di reazione».
Che significato dà a questa ripartenza?
«Che siamo tutti allineati. Tranne qualche esuberanza abbiamo vissuto una condivisione di obiettivi: ci siamo chiusi in casa, abbiamo rispettato le regole, non ci siamo assembrati. Siamo tutto sommato rimasti compatti nell'emergenza. A dir la verità alcune posizioni si sono rovesciate. Io facevo gli scioperi per non andare a scuola, ora si è fatto sciopero per andarci... Io ho vissuto gli anni bollenti del 68 e la scuola veniva vista come una istituzione coercitiva, oggi invece è prevalsa l'idea della comunità».
Come presenterebbe Architettura?
«Partirei dal fatto che Architettura non è un'arte applicata perchè è un insieme di tante espressioni artistiche. La visione della mostra di Sarkis è proprio questa: porre al centro l'essere umano, ma guarda anche all'extraterreno. Si parte dal corpo per arrivare nello spazio: guarda all'inclusività, allo stare assieme che vuol dire non solo coabitazione, ma significa non curare, ma prevenire; significa educazione civica al primo posto.
Una mostra politica, quindi
«Cosa c'è di non politico oggi? Stiamo iniziando con alcune università una ricerca propedeutica per dare forma ad un polo delle arti contemporanee che parta dello studio dei luoghi di provenienza degli artisti che sono arrivati alla Biennale in tutte le discipline. Capire da quali condizioni socio-economiche, geografiche, climatiche sono partiti e che cosa ha significato venire qui e quanto si è modificato nelle loro vite artistiche e ha influenzato quella dei loro paesi. Insomma, una mappa geopolitica che racconti la storia del mondo attraverso le arti contemporanee.
Cosa manca oggi alla Biennale?
«Più che mancare alla Biennale, direi che manca alla città. A Venezia manca una maggiore coesione tra le grandi istituzioni culturali. Sarebbe bello se si riuscisse ad offrire al mondo un'offerta complessiva: realizzare un database che ci metta tutti assieme perchè la gente possa verificare che se viene alla Biennale, può sapere con un click che cosa c'è alla Cini, alla Marciana, allo Iuav, negli archivi»
Teatro, Musica e Danza, sembra abbiano perso un po' di appeal.
«Sono sotto finanziati. Ma dobbiamo uscire dalla logica solo dei festival, ma sviluppare l'attività dei College che consente la formazione in contesti e con tutor internazionali. Noi siamo formatori, e dobbiamo lavorare come un grande laboratorio».
Da poco lo Stato vi ha consegnato 170 milioni di euro. Un sacco di soldi.
«Faremo investimenti precisi. Non andranno a sistemare i bilanci come ho letto da qualche parte. Nell'anno 2020 abbiamo investito 15 milioni di euro sul territorio ma non è stato un anno facile. Il finanziamento servirà per riqualificare luoghi all'Arsenale (uno spazio ex Mensa militare che si trasformerà in una teatro da 500 posti), al Lido (ex Casinò da ristrutturare con il Comune) e nell'entroterra (Forte Marghera)».
La città come sta reagendo a questo vostro lavoro
«Sta reagendo bene. La città ci aspetta».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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