L'INTERVISTA
Quella di domenica sarà la sua 29.esima partecipazione alla

Venerdì 11 Ottobre 2019
L'INTERVISTA
Quella di domenica sarà la sua 29.esima partecipazione alla Barcolana, la regina delle regate veliche. Ha cominciato quando aveva 10 anni e da allora non ha più smesso. «Ma ho vinto solo una volta. È stata un'emozione indescrivibile». Enrico Zennaro, nato 39 anni fa a Chioggia, residente a Lido di Venezia, è uno degli skipper più quotati d'Italia con un palmares stellare: 8 titoli mondiali, 6 europei, 11 italiani. È un velista professionista, uno dei pochissimi in Italia (sono circa 200), ma al fascino della Barcolana non sa resistere. «In questo momento sono a Palma di Majorca, impegnato a difendere il titolo europeo Swam 42. Le regate finiscono sabato 12 e dopo le premiazioni raggiungerò immediatamente i miei compagni di equipaggio a Trieste per partecipare alla Barcolana. Mi spiace aver perso la settimana che precede la gara, perché le giornate prima della regata sono fantastiche, con un clima di festa, amicizia e complicità, sono quasi più belle della stessa regata. Ho dei ricordi bellissimi».
Sfogliamo un po' questo album dei ricordi.
«Tutto è cominciato quando avevo 10 anni. La vela è una passione di famiglia. Le prime volte ho partecipato con i miei genitori, che avevano una barca da crociera. Non si gareggiava certo per vincere, ma per vivere una giornata indimenticabile nello splendido scenario del golfo di Trieste. Io ricordo che nei primi anni ero costretto a portarmi anche libri e quaderni per fare i compiti per scuola».
Da quella volta, nel 1990, non ha più interrotto la sua presenza alla gara nelle acque di Trieste.
«Sono stato stregato dalla Barcolana, ma anche dalla passione per la vela che è diventata la mia professione. Nei primi anni ho gareggiato come semplice appassionato, poi, con barche più competitive ho puntato alla vittoria»
Però più che vittorie ha ottenuto secondi posti, ben 11. Uno strano record per un vincente come lei, abituato a trionfare nei mari del mondo.
«Sì è vero, ma ogni gara fa storia a sé, ci sono secondi posti che valgono come una vittoria. Se vogliamo essere precisi, ho anche un terzo posto! Comunque nel 2009 ho vinto ed è stata una gioia immensa. Ero lo stratega della Maxy Jena. Ho fatto tutta la gara in cima all'albero a 34 metri d'altezza. Già quello è stato uno spettacolo indimenticabile, dominavo il golfo di Trieste e vedevo quella foresta di alberi e vele. Avevo una responsabilità enorme, dovevo scrutare il vento e decidere l'attimo esatto in cui strambare. Ma alla fine abbiamo tagliato il traguardo con 15 minuti di vantaggio. Quando sono sceso dall'albero ho trovato tutto l'equipaggio che piangeva di gioia. Per me si è realizzato un sogno che avevo sin da bambino. Vincere a Trieste ha un sapore del tutto particolare».
Enrico Zennaro, assieme al co-skipper Luddle Ingvall, quest'anno ha lanciato la sfida, vuole vincere. Il suo Portopiccolo Tempus Fugit, un mostro di oltre 33 metri complessivi, con una stazza di 24,5 tonnellate, un albero di 37,5 metri e 426 metri quadrati di vele, se la dovrà vedere con il dream team guidato da Furio Benussi, il campione in carica con Wild Thing.
«Sarà una bella sfida. Loro hanno il vantaggio di giocare in casa, conoscono tutti i segreti del mare e del vento del Golfo. Noi abbiamo una grande barca e un equipaggio di altissimo livello. Siamo in 28 a bordo provenienti da sette Paesi diversi. Per capirci dovremo parlare sempre in inglese, mentre Benussi potrà parlare in dialetto triestino. Anche questo è un vantaggio».
A bordo ci sarà anche suo fratello Nicola.
«Sì, sono felice della sua presenza, di lui mi fido ciecamente, è un grande velista, ma a differenza mia non lo fa come professione».
Cosa significa essere professionisti nella vela?
«Ci sono due risposte. Da una parte una vita sopra le righe, sempre in giro per il mondo, in luoghi fantastici, con la possibilità di conoscere grandi persone. Una vita che mi permette di dare sfogo alla mia grande passione per il mare e la vela. Dall'altra la lontananza dalla famiglia. Ho calcolato una media di 150 giorni all'anno via da casa. Un grosso sacrificio per chi, come me, ha moglie e un figlio di appena sei mesi».
Un sacrificio ripagato dal successo e dalla popolarità?
«In realtà quella del velista è una vita abbastanza solitaria. Quando gareggiamo in mezzo al mare, siamo soli con le vele e il vento. Solo una volta, proprio a Trieste, ho partecipato a una gara per catamarani, di fronte alle rive di piazza Unità, davanti a un foltissimo pubblico. Sembrava di essere allo stadio. Per la prima volta ho assaporato il gusto degli applausi».
Ma il gusto della vittoria lo conosce bene.
«Non mi posso certo lamentare. Ho vinto grandi regate, Barcolana a parte, come la Swan Cup, il Giro d'Italia a vela, la Palermo-Montecarlo, la Nord Stream Race, la Veleziana e molti campionati mondiali ed europei. A dicembre sarò a Perth in Australia per partecipare al mondiale moth, le barche a vela che volano. Ma forse una delle maggiori soddisfazioni l'ho provata quando ho fatto il team manager a San Francisco per un equipaggio di giovani nel 2012. È bello trasferire la propria esperienza e vedere i risultati».
Domenica a Trieste parte con i favori del pronostico.
«Siamo in quattro giocarcela. Il risultato finale dipende da molti fattori. Soprattutto dal vento. Io spero che non ce ne sia molto, dovrebbe essere un fattore a nostro vantaggio. Per ora le previsioni sembrano favorevoli, ma non si può mai sapere. Anche lo scorso anno era previsto poco vento e poi c'erano 18 nodi. Ci vuole sempre anche un po' di fortuna».
A proposito di fortuna, tra gli uomini di mare ci sono tanti rituali scaramantici. Lei in che rapporto è con la superstizione?
«Diciamo un rapporto molto moderato. Ci sono tante credenze a cui non riservo grande importanza. Come, ad esempio, non indossare il verde o il viola, oppure quella che dice che le donne a bordo non portino bene. Un'altra superstizione riguarda gli ombrelli a bordo»
Lei porta ombrelli in barca?
«Non esageriamo: una donna va bene, ma l'ombrello no. In barca non serve a niente. E poi non si sa mai».
Vittorio Pierobon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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