L'INTERVISTA
«Quando mi presento dicendo sono De Michelis, immancabilmente

Lunedì 18 Marzo 2019
L'INTERVISTA
«Quando mi presento dicendo sono De Michelis, immancabilmente mi chiedono: Sei il figlio di Cesare?. Poi incominciano a parlare della Marsilio. La cosa che più mi diverte è che ovunque vada ci sono autori Marsilio, quasi sessant'anni di vita della casa editrice hanno lasciato un segno importante. Quanto al peso del cognome, quel mondo legato a quei nomi oggi non c'è più e non solo a Venezia».
Luca De Michelis, 51 anni, veneziano, è al vertice della Marsilio, una delle case editrici più importanti in Italia. Trecento titoli l'anno tra novità e tascabili, fatturato oltre i 10 milioni di euro. La famiglia De Michelis si è ripresa l'intero pacchetto azionario che era prima entrato a far parte della Rizzoli e poi della Mondadori. Col nuovo assetto ha acquisito anche la Sonzogno e ha siglato un accordo di partnership col Gruppo Feltrinelli. Luca De Michelis ha lavorato per molti anni nel mondo della finanza tra Inghilterra e Usa. Ha abbandonato la Lehman Brothers qualche tempo prima che la famosa banca saltasse trascinando mezzo mondo nella crisi.
Ma era prevedibile il crollo in quelle dimensioni?
«Mi sono laureato a Milano in Economia e specializzato in finanza, volevo proprio prendere le distanze dal lavoro di mio padre. E per quasi vent'anni ho vissuto anche all'estero lavorando in banche d'affari americane, nell'ultimo periodo ero alla Lehman Brothers che ho lasciato al momento giusto. Ma il crollo della Lehman non era prevedibile in quelle proporzioni, è stata una scelta dell'allora governo americano che ha trovato un partner per molte banche nelle stesse condizioni, ma ha usato la Lehman per dare un esempio».
È stata la crisi a farle cambiare mestiere?
«Non avevo più voglia di aspettare che il mercato si riprendesse e ho scelto di collaborare con la Marsilio. Poi mi sono trovato coinvolto sempre di più, giorno dopo giorno, per arrivare al momento in cui papà ha deciso di costruire un percorso di passaggio generazionale. Quello che avevo studiato sui libri, mi sono trovato a viverlo in prima persona. Si tratta di un passaggio difficile e nel caso di un'azienda editoriale ancora più difficile. Qui la casa editrice era sostanzialmente impersonata nella figura dell'editore, una figura che sta scomparendo e non è detto che sia un bene. Mio padre era un uomo molto generoso, e non solo nei confronti del figlio, che quello è egoismo, ma anche nei confronti di ciò che aveva creato. Io avevo un'esperienza totalmente diversa dalla sua, avevo lavorato all'estero e lui non era esterofilo, non ero un professore, i nostri due profili non potevano essere più differenti. Quando ho preso in mano la gestione non sapevo molto di questo mondo, così mi sono messo a imparare, ma soprattutto mi sono innamorato di questo mestiere che non si può fare se non ti innamori».
Allora ha ritrovato un clima che aveva respirato da bambino
«Intanto, ritrovo Venezia dove avevo frequentato il liceo Marco Polo, gli anni in cui ci si forma, le amicizie che rimangono tutta una vita. Mio padre Cesare era una di quelle persone totalmente prese, vita e lavoro si sovrapponevano. La sua casa in qualche modo ne era lo specchio, viveva immerso tra i libri. Era una scelta di vita totalizzante, un mondo in cui non c'era altro».
Come ha affrontato il nuovo mestiere?
«C'è un peso enorme da portare avanti e devi percorrere sentieri molto stretti, fare bei libri, però devi venderli. La Marsilio è la casa editrice che fa più cose: narrativa, saggistica, gialli, libri d'arte, cataloghi di mostre, editoria varia. Tutto effetto della personalità eclettica di mio padre, voleva lettori diversi per ambiti diversi. Con la squadra lavoriamo per cercare talenti giovani, magari sconosciuti, e nello stesso tempo fare libri che lascino un segno, dare spazio a voci critiche, provocatorie, intelligenti. Portiamo avanti un progetto che è stata la vita di mio padre, ma che ha preso una forma autonoma. Ho dedicato sforzi alla costruzione di alleanze, uniamo diverse anime editoriali e abbiamo un rapporto forte con l'università e col territorio: per noi la libreria conta il 50% del fatturato. Certo Larsson con i suoi gialli ha cambiato la faccia della casa editrice, al di là del libro che papà ha letto anni dopo averlo pubblicato, resta che quello che era un piccolo editore è diventato di colpo un editore di successo anche commerciale, quasi 5 milioni di copie in pochi anni. Ma il bello di Marsilio è che in tutti i campi abbiamo avuto la fortuna di trovare dei best-seller».
Com'è l'editoria oggi?
«Tutti gli stereotipi sull'editoria sono veri: la gente legge poco, il mercato perde punti ogni anno, non c'è crescita, occorrono sforzi continui. Ma ho la sensazione che il mercato editoriale italiano sia diventato per la prima volta un mercato globale in cui sono arrivati dei giocatori come Amazon che hanno cambiato le regole del gioco. La tecnologia è fondamentale, è cambiato il mercato editoriale dei giornali, della tv, dei libri. Il tutto sta trasformando un'industria che nasce come infrastruttura in un'industria che produce contenuti. La capacità degli editori oggi è di trovare, scoprire, inventare contenuti che poi chiamiamo libri e di dargli un senso. Il vantaggio è il senso di essere un editore che in prima battuta può scegliere i suoi libri che non sono solo isole abbandonate. La metafora della casa editrice è giusta: è una casa, accogliamo autori, cerchiamo di offrirgli cose che li facciano trovare a proprio agio, in buona compagnia. La partnership col gruppo Feltrinelli ci consente di portare avanti il percorso di crescita. Allo stesso tempo, i gruppi editoriali troppo grandi fanno fatica a mantenere un'anima editoriale, a non diventare un librificio».
Marsilio vuol dire soprattutto Venezia?
«È forse la caratteristica identitaria più forte di Marsilio. Essere a Venezia, nel Veneto, nel Nordest. È quello che tiene insieme le anime diverse. Una città e un mondo che ti consentono di essere il terminale di stimoli tra loro vari e diversi. Puoi essere un editore che fa belle cose anche se non sei di Milano. Venezia è un grande punto di forza, essere a Venezia ti mette già nella condizione di essere globale, di guardare al mondo. Però non posso dire di avere la stessa passione di papà per una città in cui ha sempre vissuto: lui ha fatto politica, lui viveva il rapporto con la città, ne era un protagonista che doveva dire la sua e non si sottraeva. Avrebbe avuto da dire sull'Italia di oggi che a me pare in qualche modo lo specchio di quello che è l'Occidente, viviamo le stesse crisi. Forse noi facciamo le cose in maniera più folkloristica, la nostra è una nazione che non è mai diventata tale, ha debolezze che la portano a vivere in modo da essere anche un precursore».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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