L'INTERVISTA
Il madrigale è senza suono perché a parlare è un

Lunedì 9 Settembre 2019
L'INTERVISTA
Il madrigale è senza suono perché a parlare è un libro, e non gli strumenti musicali; il madrigale è quello di Carlo Gesualdo da Venosa, un genio assoluto, una pietra miliare nella storia della musica, del quale sappiamo poco, troppo poco. Lo chiamavano principe dei musici anche perché principe lo era davvero, nella fattispecie di Venosa (cittadina oggi in provincia di Potenza). Ma era anche un assassino, uno che ha ammazzato la propria moglie, Maria d'Avalos, e il suo amante, Fabrizio Carafa. Certo, il codice d'onore del tempo siamo nel 1590 sanciva l'immunità per chi avesse ucciso la moglie colta in flagranza di adulterio (non sappiamo se lo stesso valesse a parti invertite). I due sono stati assassinati nel letto del palazzo di Sangro, residenza napoletana del principe di Venosa. Ai nostri occhi comunque togliere la vita rimane uno dei peggiori delitti di cui un essere umano si possa macchiare. Ne ha raccontato la storia Andrea Tarabbia, un lombardo (nato a Saronno, ma con frequentazioni milanesi) che vive da un po' di anni a Bologna perché ha seguito la moglie che è andata a lavorare nella città emiliana. Scrive, libri e articoli, insegna in un paio di scuole di scrittura (anche se spiega che non bisognerebbe più parlare di «scrittura», bensì di «storytelling»).
Chi era Carlo Gesualdo principe di Venosa?
«Era un po' come Caravaggio: un genio omicida. Ha avuto una vita avventurosa, è stato un autentico gigante misconosciuto, il suo contributo dato alla madrigalistica è fondamentale, è uno dei pochi nella storia di un'arte ad aver compreso tutte le regole e ad averle usate tutte. Nella musica c'è un prima e un dopo Gesualdo da Venosa. Se non gli viene riconosciuto il ruolo che gli spetterebbe nella storia è anche perché il madrigale è un genere di nicchia che oggi si ascolta e si apprezza abbastanza poco. Faccio un parallelo un po' ardito tra l'ieri e l'oggi: Gesualdo è quello che prende tutte le caratteristiche della madrigalistica e le utilizza continuamente nella composizione, satura la forma. I Rolling Stones prendono tutto quello che era stato fatto nei cinquant'anni precedenti e lo mettono insieme. Tirano una linea e stabiliscono quale sia il canone, la figura di riferimento. Per esempio, Gesualdo porta all'estremo l'uso di utilizzare solo voci alte, tenori e soprani, quando si nomina dio, mai bassi e baritoni. Il madrigale che comincia con la parola tenebre è introdotto da una galleria di voci basse che danno il senso dell'oscurità, in un altro madrigale che contiene la parola ululare fa letteralmente ululare i cantanti».
Come mai questa passione per un genere musicale oggi poco frequentato, come il madrigale?
«In realtà non è la forma musicale ad appassionarmi, bensì il tirare la linea di cui ho detto poco sopra. Mi attirano molto le figure che chiudono le epoche, che si trovano davanti alla fine del mondo. Non a caso la canzone di Franco Battiato dedicata a Gesualdo comincia con il verso: Io contemporaneo della fine del mondo. Gesualdo chiude il Rinascimento, dopo di lui si cambia. Vale per la musica, vale per altri campi; nell'architettura sono affascinato dal monumentalismo, dallo stile delle dittature: Albert Speer per il nazismo, Marcello Piacentini per il fascismo, le edificazioni sovietiche del periodo staliniano. Il monumentalismo è evidentemente il punto che segna la fine di un'epoca, ecco questo genere di evenienze mi attrae».
Lei si è occupato di figure che hanno oltrepassato i limiti non solo nel campo artistico, dell'uomo che si fa Dio e decide i destini degli altri.
«Sì, ho scritto un libro, Il giardino delle mosche, dedicato ad Andrej Cikatilo, il mostro di Rostov, il serial killer che aveva ammazzato 53 persone, era stato condannato a morte e la sentenza è stata eseguita nel 1994. In effetti si tratta di uomini che tentano di superare l'umano e poi crollano».
In Madrigale senza suono però non si parla solo di Gesualdo da Venosa, ma compare anche un altro musicista, il russo Igor Stravinskij.
«L'intreccio tra le due figure mi ha permesso di scrivere un libro più complesso di un semplice romanzo storico che ricostruisce e racconta la vita di un personaggio. I due compositori dialogano, seppur a distanza di secoli, Stravinskij studia Gesualdo, si ispira a lui e nel 1960 mette in scena tre madrigali nella basilica di San Marco, a Venezia. Stravinskij per molti versi è l'opposto di Gesualdo: il primo era freddo, il secondo un esuberante autodidatta, ma Stravinskij ne era affascinato, tanto da chiamare la composizione Monumentum pro Gesualdo di Venosa, e questo mi ha dato modo di raccontare una relazione a distanza, un rapporto tra padre e figlio. Stravinskij riconosce a Gesualdo una sorta di paternità e ne riscopre la vita a tre secoli di distanza. Questo fa sì che io abbia potuto scrivere un libro originale, non un semplice romanzo storico».
Questa è la seconda volta che Tarabbia si ritrova nella cinquina finale del Campiello, era già successo tre anni fa, nel 2016, proprio con Il giardino delle mosche. Era arrivato terzo, in una classifica finale abbastanza corta, nella quale i contendenti erano separati soltanto da pochi voti. Questa volta pensa di riuscire a scalarla, quella classifica?
«Va bene tutto, ma basta non arrivare secondo».
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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