L'INTERVISTA
«Eravamo i Magnifici Sette di Novantesimo Minuto agli ordini

Lunedì 19 Ottobre 2020
L'INTERVISTA
«Eravamo i Magnifici Sette di Novantesimo Minuto agli ordini di un eccezionale direttore tecnico, Paolo Valenti: c'erano Luigi Necco da Napoli, Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini di Firenze, Giorgio Bubba da Genova, Gianni Vasino da Milano, Cesare Castellotti da Torino e io dal Veneto. Carino era un mito vero, dietro la faccia da pulcino spaurito aveva una competenza calcistica straordinaria. Siamo rimasti in tre, adesso: io, Vasino e Castellotti. Mi sento un po' come l'ultimo dei Mohicani quando mi chiamano in giro per l'Italia a raccontare di quella trasmissione che è rimasta nel cuore degli italiani. La guardavano in venti milioni e ti rendeva popolare, alla Mostra del Cinema di Venezia firmavo autografi come un divo. Lo so: era un altro tempo e anche un altro calcio».
Nella sua Storia della televisione italiana Aldo Grasso lo chiama il mitico Ferruccio Gard. Oggi Gard vive al Lido di Venezia e gira il mondo non più come inviato speciale della Rai, ma come pittore. È nato il giorno di Natale del 1940 a Vestignè, paesino del Canavese. Sposato con Bruna, due figli, è nonno di due nipoti. Ha da poco festeggiato il mezzo secolo di pittura con una mostra al museo Chico di Bogotà.
Da bambino sognava di diventare un giornalista o un pittore?
«Alle elementari di diventare un campione, ma anche l'artista perché già disegnavo. Un po' anche il giornalista, mi ero autoproclamato direttore del giornalino di classe. Mio padre era il maestro del paese, mamma l'ostetrica; sono nato nel primo Natale di guerra e la guerra è stata terribile dalle mie parti. Mi ha condizionato la vita, ero bambino e una bomba nazista mi ha lasciato per giorni tra la vita e la morte. Il dopoguerra mi ha regalato un'infanzia felice, giocavo al calcio, correvo in bicicletta e ho anche vinto molte gare da dilettante: in salita partivo e non mi prendeva nessuno. Una volta all'uscita di una galleria, corta e senza luce, ho trovato la strada sbarrata da un gregge, ho avuto paura di finire nelle acque del torrente Lis. Ho avuto fortuna, sono atterrato sulle pecore, mi sono rialzato e sono arrivato al traguardo. Sono andato in bicicletta e ho giocato a pallone fino a non troppi anni fa».
Da mancato campione della bici a inviato speciale della Rai, da Torino a Venezia
«Come giornalista sono nato nel 1961 quando a Torino si celebrava il centenario dell'Unità d'Italia. Ero universitario e sono entrato nella claque del Teatro Carignano, in cartellone c'era anche una rappresentazione della Comedie Francaise, avevano bisogno di una comparsa che sapesse dire due battute in buon francese e mi sono proposto. La scena si svolgeva in un albergo dove nel cuore della notte suonava una sveglia che faceva accorrere tutti i clienti infuriati. Dovevo solo dire n'est pas possible, non è possibile. Ho vissuto da dietro le quinte cosa succedeva agli attori prima di entrare in scena, ricordo una prima attrice con un seno generosissimo. Sono andato nella redazione di un settimanale cattolico a proporre un articolo su quello che avevo visto e ci ho preso gusto. È incominciata così, scrivendo sulle pagine dei quotidiani sportivi, poi alla Rai di Torino dove per quattro anni ho fatto un'anticamera che mi è servita a imparare il mestiere. Avevo come compagno d'avventura un giovane Emilio Fede. Dopo l'assunzione, nel 1973 mi hanno mandato a Venezia, e sono felice e orgoglioso di questo trasferimento, perché senza tradire le mie origini mi sento veneziano e veneto».
Quali sono stati i servizi più importanti della sua carriera?
«Collaboravo a Tg l'una che andava in onda prima del telegiornale, mi mandavano anche in giro per il mondo ed è stato così che sono riuscito a intervistare un sopravvissuto delle Ande, uno dei passeggeri di quell'aereo che era precipitato e alcuni per sopravvivere si erano trasformati in cannibali. Una storia terribile, ha sconvolto il mondo, l'uomo moderno si era trovato inaspettatamente di fronte a una vicenda simile. Ho saputo di un uomo che ogni anno a cavallo saliva fino al punto dove erano sepolte la moglie e la figlia e portava i fiori. Sono andato con lui, ha raccontato ed era la prima volta. Quel servizio ha fatto il giro del mondo. Poi ci hanno scritto libri e girato film. Ma ricordo anche l'intervista a papa Giovanni Paolo II che veniva in vacanza in Veneto e lo seguivo per il tg. Un anno mi avevano detto che prima di rientrare in Vaticano avrebbe incontrato i sacerdoti del Bellunese, mi sono fatto trovare con un operatore, vestito che sembravo anch'io un prete. Il Papa mi riconobbe, gli chiesi l'intervista, ma il capo della scorta mi sollevò brutalmente di peso. Dovette intervenire Wojtyla, l'intervista aprì tutti i telegiornali».
E quella volta che fece adirare un ministro?
«Anche allora un mio servizio fece il giro del mondo, grazie ad Andreotti a Pieve di Cadore. C'era la prima guerra del Golfo, lo raggiunse una telefonata del Presidente Cossiga che gli annunciava che Saddam Hussein avrebbe liberato gli ostaggi italiani. Ero quasi accanto, sentii ogni cosa, Andreotti senza troppe parole mi confermò e rientrò d'urgenza a Roma. Chiamai tutti i tg e fu la notizia di apertura. Il giorno dopo Saddam Hussein prese tempo e il ministro degli Esteri, Gianni De Michelis, attaccò me dicendo che non capivo niente e dandomi del bugiardo. Gard-De Michelis: è scontro, titolarono i giornali. In Parlamento il ministro fu durissimo, Andreotti invece confermò la mia ricostruzione dei fatti. Per un lungo periodo su Blob si vedeva scorrere la scritta: Saddam Hussein chiama da Baghdad Ferruccio Gard sotto le immagini del dittatore.
Ed eccoci a 90° minuto
«Siamo nei primi Anni '70, al tempo facevo i collegamenti per la trasmissione della radio Tutto il calcio minuto per minuto e anche per La Domenica sportiva. Allora non c'era la diretta, si doveva sempre andare a Milano per montare il servizio. Paolo Valenti mi chiamò per seguire soprattutto il Vicenza di Paolo Rossi. La mia notorietà, però, è legata al Verona dello scudetto, alla grandezza di Bagnoli che fu il vero artefice di quel successo. Non mi ero reso conto che a modo mio e nel piccolo ero entrato nella storia della televisione italiana, quella trasmissione ti dava una popolarità enorme, ti fermavano per strada. Certo, mi rendo conto che era diverso il rapporto dei giornalisti con i calciatori, potevi entrare negli spogliatoi, potevi essere loro amico. Una volta trovai Omar Sivori nello spogliatoio stravaccato mezzo nudo su una grande poltrona di pelle e con una tazza di tè caldo in mano. Mi fece sedere sul bracciolo della poltrona e si fece intervistare. Sono spesso tornato a Quelli che il calcio con Simona Ventura e anche in tempi più recenti, affiancato a tifosi eccellenti, come Anna Falchi, o al grande Bruno Pizzul».
Ora da pensionato ha una seconda vita come pittore?
«Per me sarebbe difficile vivere senza la pittura. Ho incominciato a dipingere prima che a scrivere e fare telecronache. Chiamano la mia Optical Art, ma già nel 1970 ero tra gli artisti chiamati alla Quadriennale di Torino. Da allora ho partecipato a sette Biennali di Venezia, alla Quadriennale di Roma, a due Biennali dell'Architettura, ho fatto mostre in mezzo mondo, da Pechino a New York. Sono appena entrato nella collezione d'arte contemporanea italiana della Farnesina, considerata tra le più importanti al mondo. Aspetto la festa per i miei 80 anni con mostre già organizzate a Milano e a Londra e spero tanto anche più vicino, nella mia Venezia».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci