L'INTERVISTA
È la più antica cooperativa del Nordest, una delle più

Lunedì 30 Novembre 2020
L'INTERVISTA
È la più antica cooperativa del Nordest, una delle più antiche d'Italia. Nata quando l'Italia era contadina e sul finire dell'Ottocento socialisti e cattolici si dannavano per la terra e parlavano di solidarietà e sussidiarietà: il senso era lo stesso, ma l'etichetta era colorata dalla parte politica. Tempo di leghe, di società di mutuo soccorso, di casse rurali. Tempo soprattutto di povertà, spesso la vacca era l'intera ricchezza della famiglia. Un veterinario di Cison del Valmarino annotava nel diario: se un figlio dei contadini sta male prendono i chiodi per la cassa, se si ammala la vacca chiamano il veterinario.
È il 23 maggio del 1883 quando a Pieve di Soligo nasce la Latteria di Soligo ad opera di uno dei grandi protagonisti del pensiero cattolico, il trevigiano Giuseppe Toniolo. Pieve è il paese della moglie, Maria Schiratti, sorella di Gaetano senatore del Regno; Toniolo mette insieme piccoli allevatori e latifondisti, in tutto 197 soci e un capitale di 9.720 lire. Il latte viene pagato 10 centesimi al litro. Allora il mercato più esigente era Venezia dove veniva mandato tutto il burro: il latte non veniva scremato, una commissione puniva i soci che toglievano la panna. Il capolavoro di Toniolo è lo Statuto, tanto avanzato socialmente da risultare ancora moderno: la cooperativa «ha lo scopo di acquistare il latte onde perfezionarne i prodotti utilizzandoli tutti; aprire per essi un commercio anche su larga scala; corrispondere ai portatori di latte un sicuro guadagno».
Toniolo è personaggio straordinario, nel 2012 è stato beatificato. A questo padre di famiglia con sette figli, è stato ufficialmente riconosciuto un miracolo.
«Ma il vero miracolo sociale è che la Latteria di Soligo esiste ancora dopo 137 anni e in questo 2020, difficile per troppi motivi, si prepara a chiudere con un fatturato che supera i 70 milioni di euro. Lavoriamo 3000 quintali di latte al giorno, dice Lorenzo Brugnera, presidente e direttore della cooperativa da 21 anni.
La Latteria ha superato due guerre in cui ha perso tutto, un incendio e una crisi. Per sanare i debiti nel 1945 la cooperativa ha venduto una Balilla che era stata accuratamente nascosta in montagna. Poi la corsa verso il miracolo economico in una regione ancora fortemente agricola: «Gli uomini coltivavano la terra, le donne falciavano, venivano giù dalle colline più impervie, Ogni azienda aveva la sua stalla», dice Mario Dalla Riva, 66 anni, di Montebelluna, memoria storica dell'azienda.
Oggi la Latteria Soligo a Farra di Soligo, cooperativa con 180 soci, produce formaggi di ogni tipo, burro, mozzarella e latte fresco. I più richiesti sono Soligo Oro, Montasio, Asiago e Grana Padano. Ogni giorno 60 mezzi pesanti carichi escono dalla Latteria e vanno in tutta Italia. Quattro centri di produzione: a Farra, a Breganze, a Caposile (tutto ciò che è in bottiglia e scatola) a Fregona dove si produce anche il Formaggio di Grotta nelle cavità scavate nella Grande Guerra. In questi giorni è stato incorporato il caseificio AgriCansiglio.
Lorenzo Brugnera, 71 anni, di Fontanelle, doveva restare al vertice pochi mesi, c'è dal 1999.
Cosa è successo vent'anni fa?
«Quando mi hanno fatto presidente, nella mia azienda avevo i figli studenti e dissi a mia moglie: Tu vai in sala mungitura, io vado in Soligo per tre mesi, faccio una fusione e torno a casa. Rispose: Solo se me lo garantisci. Mi vergogno, dopo 22 anni sono ancora qui e la fusione non sono riuscito a farla: hanno tutti detto di no, pensavano che la Latteria Soligo dovesse essere spartita. Si dimenticavano che era di produttori che continuavano a portare latte e voleva dire che il mondo agricolo ci credeva. Le banche ci hanno detto di arrangiarci, Veneto Banca ci ha tolto i fidi, ci ha creduto solo la Carige. Ma la macchina funzionava e già in pochi anni era possibile risalire e fare fusioni, con Vicenza abbiamo portato a casa l'Asiago. La storia della cooperativa non si è mai fermata, lo Statuto è perfetto ancora oggi».
C'era la Cooperativa nel suo futuro?
«Forse sì. Sono cresciuto in una famiglia di agricoltori, papà Guerrino aveva un po' di terra, facevamo anche vino in casa, poi mia madre ha avuto un incidente con la pigiatrice ed è finita la vinificazione. Vivevamo nella casa colonica costruita dal nonno, accanto c'era la stalla. Da lì è partita la mia voglia di migliorare: dopo gli studi, a vent'anni ho fatto la mia prima stalla lontana dalle abitazioni. Con le prime 50 vacche ho avuto gli aiuti europei e da lì è incominciata. Mi sono sempre interessato all'innovazione col Club 3P della Coldiretti: provare-produrre-progredire. I tecnici insegnavano come cambiare il mondo agricolo, si tenevano ancora le vacche come prima della guerra mentre fuori avanzava la fecondazione artificiale. A 25 anni ero già assessore al Comune di Fontanelle, la politica mi ha sempre molto interessato, così come la presidenza della Cantina sociale di Gaiarine dove ho sostenuto con buon anticipo la necessità di unirsi ad altre cooperative, le terre cominciavano ad essere tutte coltivate per il Prosecco».
Come è arrivato il momento della grande crisi?
«Nella Latteria ci sono sempre stato, ero un socio che nel 1985, al tempo delle quote latte, conferiva 3 quintali al giorno. La Soligo è continuamene cresciuta, è stata la prima cooperativa al Nord che ha fatto mozzarella, ora la fanno in troppi: i tedeschi, per esempio, sono i più grandi produttori d'Europa! Poi il 31 gennaio del 1995 c'è stato l'incendio terribile che ha distrutto il nuovo caseificio a Farra, una perdita di 7 miliardi e la situazione in pochi anni si è fatta drammatica. Arrivo qui il 24 aprile 1999 come consigliere e dopo pochi giorni mi ritrovo presidente. E da lì ricomincia la mia muova storia. Il capitale sociale si stava consumando, bisognava abbassare i costi e concordare con i sindacati l'uscita di 44 persone. Allora c'erano 170 dipendenti, adesso ne abbiamo 180, dopo le ultime acquisizioni di AgriCansiglio, ma anche quindici spacci, prima erano tre».
È stato difficile superare la crisi?
«Un giorno ero qui impegnato nella trattativa con i sindacati, forse troppo stanco mi lascio sfuggire una battuta: Non basta in casa, mi tocca anche sopportarli qui. A un delegato della Cgil non va giù, si rivolge al collega domandando: Quel democristiano cosa voleva dire?. Gli rispose che mia moglie era una sindacalista dei tessili della Cgil, cuciva pantaloni. Il giorno dopo si è presentato con un mazzo di fiori e molta comprensione per mia moglie che doveva sopportare il democristiano. Si è rotto il ghiaccio, la trattativa è andata avanti più franca. Eravamo convinti che fosse meglio una cooperativa snella di una cooperativa morta. La Latteria si è rimessa in sesto nel 2001, sul mercato aveva una storia e una credibilità».
Come è la situazione del settore lattiero nel Veneto?
«Nella trasformazione del latte il Veneto è una delle industrie più grandi d'Italia. Abbiamo più latte trasformato che latte prodotto, dobbiamo prenderlo anche all'estero. Ma la troppa burocrazia ammazza le piccole cooperative che rischiano di non sopravvivere. Noi siamo in un'area votata al Prosecco, ci sono allevatori che lasciano a chi vuole trasformare le terre in vigneti. Quando sono entrato c'erano 900 stalle, oggi sono 200. E c'è un problema di cambio generazionale. Quando chiude una stalla chiude un pezzo di territorio, un mondo che viveva si disperde».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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