L'eroismo di Padre Placido

Venerdì 22 Gennaio 2021
L'eroismo di Padre Placido
LA STORIA
Nella nicchia protettiva e sicura del suo confessionale, sotto alle cupole della Basilica del Santo, voci trepidanti e flebili cercavano da lui parole diverse da quelle consuete per un padre confessore, parole che non potevano uscire dall'ombra e dal sussurro: non il semplice conforto, ma la concreta speranza di una salvezza terrena, di una fuga dalla persecuzione.
Padre Placido Cortese, il sacerdote al quale quelle persone in pericolo tremendo si rivolgevano, al secolo Nicolò Matteo, era nato il 7 marzo 1907 a Cherso, l'isola del Quarnaro che dopo il 1918, passò dall'Austria all'Italia. Da giovanissimo aveva sentito la missione di donarsi a Dio: conosceva i frati conventuali di Cherso e voleva farsi frate già a 13 anni. Intraprese quindi un viaggio lungo e difficile, verso Padova, mirando ad essere accolto nel seminario di Camposampiero dei Frati Minori Conventuali. Entratovi, prese il nome di Placido: aveva 16 anni. A Roma, completò la sua educazione religiosa e, il 6 luglio 1930, venne ordinato sacerdote nella chiesa del Pontificio Seminario Romano.
AL SANTO
Quel giovane era animato da un entusiasmo speciale. In una lettera ai suoi familiari scrisse di essere pronto a dare la vita per la fede fino ai tormenti, come i martiri. Era certo pronto a farlo, ma probabilmente non si aspettava che tanto si sarebbe proprio avverato per lui, con indicibili sofferenze.
Tornato a Padova, alla Basilica del Santo, venne scelto per un compito delicato e importante, evidenziando qualità non comuni: fu nominato direttore del Messaggero di S.Antonio, la rivista dedicata ai fedeli del Santo. Una scelta lungimirante, quella di assegnare il compito a Padre Placido, premiata da una crescita della diffusione dellla rivista, che in pochi anni, raddoppiò il numero dei lettori, arrivando a 800.000 copie.
Ma arrivò la Guerra, e a Padova giungevano numerosi prigionieri, molti provenienti dalla sua terra d'origine, l'Istria, deportati in seguito all'occupazione italiana. Li rinchiudevano a Chiesanuova, poco fuori il centro di Padova. Padre Placido con la sua bicicletta andava a visitarli e sotto la tonaca nascondeva cibo, indumenti, lettere.
GUERRA CIVILE
Dopo l'8 settembre, l'Italia visse una guerra fratricida che la dilaniò. Al Santo, padre Placido continuava a dirigere il giornale ma non mancava il suo aiuto ai prigionieri che aumentavano sempre più: molti erano ebrei, altri perseguitati politici e militari. Per fare di più bisognava però unire le forze e Placido saputo dell'organizzazione clandestina chiamata Fra.Ma(dai nomi di Ezio Franceschini e Concetto Marchesi), non si tirò indietro. Il Santo che era zona extra-territoriale: luogo dove poteva ritenersi al sicuro e dove riceveva le richieste di aiuto da parte di tanti uomini e donne coraggiose, che esasperati cercavano una via per ottenere passaporti, permessi e carte d'identità. Tanti i perseguitati che Placido salvò, soprattutto ebrei aiutati a passare in Svizzera. Ma nel buio qualcuno macinava anche maligni propositi e lo tradì. Le SS, che lo chiamavano frate zoppino per la sua statura gracile e mingherlina riuscirono con uno stratagemma, a farlo uscire dalla zona dove era intoccabile. Lo cacciarono in una macchina, che partì a tutta velocità per Trieste e la sede della Gestapo. Era l'8 ottobre 1944, verso le tredici e trenta.
LA DELAZIONE
Il padre portinaio del Santo lo aveva messo in guardia, dicendogli di non uscire perchè le persone che lo cercavano per un aiuto, non avevano un aspetto rassicurante. Ma lui rispose: «Bisogna usare carità con tutti». Così, forte della sua fede e dall'amore verso il prossimo, andò incontro al suo destino. Quello che gli accadde da quel momento in poi, lo si seppe solo molto più tardi: il sergente britannico Ernst Barker che era detenuto in una cella vicina, raccontò, a guerra finita, il calvario di padre Placido senza sapere chi egli fosse. Parlò di un frate del Santo che per giorni fu sottoposto a terribili torture: gli avevano strappato le unghie, spezzato le braccia, bruciato i capelli e lo avevano frustato fino alla carne. Dopo giorni di questo, fu ucciso con un colpo di pistola. Aveva 37 anni. Per cancellare le tracce di quanto avevano fatto, gli aguzzini decisero di bruciare il suo corpo gettandolo nel forno crematorio della Risiera di San Sabba.
LE TORTURE
Padre Placido finì torturato a morte senza tradire i suoi compagni. Non rivelò come funzionala la fitta rete che permise di salvare moltissime persone. Egli è martire della carità come il confratello polacco Massimiliano Kolbe, lasciato morire di fame in un bunker di Auschwitz- hanno scritto Giorgio Laggioni e Piero Lazzarin nel libro I fioretti di padre Placido, martire francescano della carità e del silenzio ricordando la sua frase: la religione è un peso che non ci si stanca mai di portare ma che sempre più innamora l'anima verso maggiori sacrifici...fino a morire tra i tormenti, come i martiri.
Il suo martirio venne conosciuto solo nel 1995; nel 1999 si aprì la causa della beatificazione; il 15 novembre 2014, nel 70° della morte, fu inaugurato nella Basilica del Santo, il Memoriale a lui dedicato, corrispondente al suo confessionale durante gli anni della guerra. Padre Giorgio Laggioni, vicepostulatore della causa di beatificazione, spiega: «la sua Positio è stata esaminata favorevolmente dai consultori storici e teologi. Si è in attesa della promulgazione del decreto sull'eroicità delle virtù».
LA COMMEMORAZIONE
Ieri, a Padova, in occasione del Giorno della Memoria che cade il 27 gennaio, sono state poste, in vari luoghi della città, quattro Pietre di Inciampo a ricordo degli ebrei che, deportati nei campi di concentramento, non fecero più ritorno a casa. Una di queste, collocata di fronte alll'ingresso della Basilica, porta inciso il nome di Padre Placido Cortese. Così padre Oliviero Svanera, rettore della Basilica del Snato, ha ricordato il frate-eroe: «Padre Placido Cortese ha sacrificato la sua vita per la libertà. Non si deve dimenticare il suo eroismo. Dargli questo riconoscimento significa guardare a lui per fare i conti non solo con le nefandezze umane ma anche per sviluppare quello che di meglio c'è nell'uomo». Nell'occasione, è stato realizzato e donato al Museo Antoniano dall'artista Paolo Marcolongo un Reliquiario-testimonianza che contienealcune schegge del muro del bunker in cui padre Placido fu imprigionato a Trieste e un frammento di carta dove scrisse di suo pugno la parola santo. Si tratta di una ampolla di vetro rosso soffiato, sostenuta dalla mano di un putto in argento che tiene, con la sinistra, un bianco uovo, simbolo della perfezione.
Ines Thomas
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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