L'ANNUNCIO
Di sicuro una scelta ottimale: un regista amato dai cinefili, già

Sabato 16 Gennaio 2021
L'ANNUNCIO
Di sicuro una scelta ottimale: un regista amato dai cinefili, già con una carriera rilevante, con alcuni titoli cult a loro tempo sorprendenti; e una scelta tempestiva, diciamo anche giustamente furba, nella sua evidente attualità, perché fino all'altro ieri il coreano Bong Joon-ho, annunciato presidente di giuria della prossima Mostra di Venezia, restava comunque un autore piuttosto di nicchia e non solo nella nostra distratta Italia, almeno fino al riconoscimento trionfale con il suo ultimo lavoro, Parasite, che in pochi mesi ha vinto un po' tutto quello che c'era da vincere, dalla Palma d'oro a Cannes fino all'Oscar, storico primo miglior film senza essere di lingua inglese. Di fatto Parasite ha fatto diventare un po' popolare un regista asiatico perfino da noi, dove non si era mai visto un film coreano incassare quasi 6 milioni. Detto questo va anche detto appunto che Bong Joon-ho non è solo il regista dell'ottimo Parasite, per altro nemmeno il suo miglior film, ma è ovviamente il primo coreano a presiedere la giuria che, dall'1 all'11 settembre, assegnerà il Leone d'oro. Dunque Venezia anticipa tutti, a distanza di ben 8 mesi dall'avvio del suo prossimo festival, mentre la prossima Berlinale è già posticipata e fortemente ridimensionata e Cannes fortemente preoccupata di dover saltare per la seconda volta il suo appuntamento live sulla Croisette.
PRIMA DEL TRIONFO
Regista eccessivo, come si conviene all'area coreana, di talento versatile, certamente non raffinato, il suo cinema evidenzia una forte attrazione per gli aspetti sociali, dove la crudeltà sa sposarsi con l'umorismo e il genere si fonde con la questione politica: Bong, nato in Sud Corea nel settembre 1969, esordisce con il frastornante Barking dogs never bite, nel quale un disoccupato ossessionato dal latrare dei cani, inizia a prendere decisioni incontrollate, ma è già con Memorie di un assassino (2003), a tutt'oggi il suo miglior film, che arriva la consacrazione cinefila: il film, colpevolmente uscito in sala in Italia solo pochi mesi fa, dopo il trionfo di Parasite, è un poliziesco, dove si tenta inutilmente di venire a capo di una serie di omicidi compiuti da un serial-killer, che nel suo pessimismo investigativo legge anche in modo spiazzante le contraddizioni di un Paese proiettato in modo incontrollato verso la modernità e la libertà. Tre anni dopo con The host, Bong affronta, attraverso l'horror, una mutazione genetica uscita da un laboratorio, portando una specie di lucertola gigantesca a seminare il panico tra la gente, compiendo un'autentica strage, prima di essere debellata. Se con Madre (2009) sviluppa il rapporto indissolubile tra un figlio psicolabile e la sua genitrice, in un panorama costipato di società alla deriva, tra omicidi e pregiudizi, Snowpiercer (2013), diventato poi anche una serie-tv, è il suo film più politico, dove nella lettura orizzontale di lotta di classe in un treno (ricchi in testa, poveri in coda), in uno scenario post-apocalittico sottozero, Bong si misura con un budget industriale elevato (americano) e la spettacolarità di un blockbuster, non perdendo di vista i suoi temi più cari. Infine prima del trionfo di Parasite, ecco la parentesi ecologica di Okja (2017), invero il suo unico piccolo inciampo.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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