L'ANNIVERSARIO
Uno dei più fulgidi eroi militari della storia della Serenissima,

Giovedì 14 Febbraio 2019
L'ANNIVERSARIO
Uno dei più fulgidi eroi militari della storia della Serenissima, un abile stratega, un malversatore, un pomposo vanaglorioso: tutto questo è stato Francesco Morosini. I 400 anni dalla nascita, avvenuta il 26 febbraio 1619, vengono celebrati anche dalle Poste italiane con l'emissione di un francobollo celebrativo. Morosini è stato l'unico nella storia di Venezia a ottenere un monumento un busto in bronzo mentre era ancora vivo («adhuc viventi»), nel 1687, sebbene all'interno dell'armeria del Consiglio dei Dieci, a Palazzo Ducale, e quindi al tempo non aperto al pubblico. È stato eletto quattro volte capitano generale da mar (comandante supremo delle forze armate) e poi anche doge; dopo esser stato fatto doge è uscito dalla chiesa di San Marco ostentando contemporaneamente le insegne dogali e da capitano da mar, cosa inaudita, e quindi, una volta morto (nel 1694), è stata approvata una legge affinché nessuno, mai più, in futuro osasse cumulare e ostentare le due cariche. È stato accusato di aver trattenuto un milione di ducati in contanti, ma è stato prosciolto dalle accuse in virtù delle sue vittorie militari, comunque è l'unico, durante gli anni del comando, a non chiedere mai somme da casa, ma anzi a mandar denaro (questo invece è certo), da morto ne scrivono una satira in cui scende all'inferno, ma non vuol pagare il pedaggio a Caronte, e per non dover tirar fuori il denaro chiede di tornare sulla terra a combattere.
TUTTE LE GLORIE
Fa rappresentare nello stemma di famiglia tutti gli stendardi ottomani conquistati, se mai qualcuno pensasse di dimenticarsene. Ha sempre vinto, non è mai stato sconfitto in battaglia, ha osato azioni eroiche come nessun altro. Anche quando ha dovuto cedere, come a Candia nel 1669, è riuscito a compiere la scelta migliore: ha lasciato l'attuale Heraklion, ultimo baluardo veneziano sull'isola di Creta, salvando quel che poteva delle forze armate (che altrimenti sarebbero state distrutte dai turchi), l'archivio (che infatti si trova ai Frari), un'icona della chiesa di San Tito (che donerà alla costruenda chiesa della Salute: le Mesopanditissa). In quell'occasione non si è arreso, ha firmato la pace con i turchi, pur senza averne il potere, e il Senato farà buon viso a cattivo gioco riconoscendo che era stata la scelta migliore.
IL CONDOTTIERO
Anni dopo, nella guerra di Morea, conquista il Peloponneso (che i veneziani chiamavano Morea). Quando, alla fine dell'agosto 1687 conclude l'impresa, giungendo allo stretto di Corinto, vorrebbe riconquistare Negroponte (Eubea) che i veneziani avevano perso nel 1470. L'isola è la chiave d'accesso all'Egeo, Morosini ben lo sa, ma il Senato gli ordina una vittoria più facile e prestigiosa: Atene. È un'operazione di marketing, varata solo per il nome che porta la città (al tempo il capoluogo della Morea era Nafplion, che i veneziani chiamavano Napoli di Romània). Il Capitano generale da mar sa che sarebbe una conquista inutile e impossibile da tenere, in mezzo al territorio nemico, ma il senato gliel'ha ordinato e quindi esegue l'ordine.
LE ESPLOSIONI
Per farlo deve far saltare in aria la polveriera: i mortai veneziani sparano dalla mattina del 25 settembre e la sera del giorno dopo riescono a colpirla. «La sera delli 26 una bomba cadè in un magazeno ove eran riposte polvere et altre cose bituminose che acceso il fuoco durò per due giorni e rovinò il bel tempio di Minerva», scrive una cronaca dell'epoca. Peccato che la polveriera fosse stata sistemata dai turchi nell'edificio più solido dell'Acropoli, il Partenone, rimasto praticamente intatto dai tempi di Pericle. Tra l'altro, muoiono anche 200/300 persone (le fonti non sono univoche), donne, bambini e vecchi che si pensavano al sicuro all'interno del tempio. Morosini aveva ragione: dopo tre mesi, in dicembre, i veneziani decidono di lasciare Atene e dopo poco più di altri tre mesi, in aprile, abbandonano la conquista. La guerra durerà ancora un po' di anni e la pace di Carlowitz (l'attuale Sremski Karlovci, in Serbia), nel 1699, a doge e tetracapitano da mar ormai defunto, sancirà la conquista veneziana della Morea.
DALLA BANDA
Francesco Morosini apparteneva al ramo della famiglia detto «dalla Banda», con palazzo a Santa Marina, i cui membri erano chiamati «Sguardolini» perché erano rossi di capelli (secondo il dizionario di Giuseppe Boerio, «sguardolin» significa «vermigliuzzo, rossiccio o rossino»). Era rimasto orfano di madre a un anno, la donna era annegata nel Brenta in un incidente che lascerà sempre molti dubbi. Il padre si risposa con Laura Priuli che porta in dote il palazzo di Santo Stefano, dove la famiglia si trasferisce; la coppia avrà due figli e questo determina il destino del futuro doge. La donna gli preferisce i propri figli e così il giovane Francesco viene allevato da una nonna Badoer ed entra in armata (flotta) dove percorre tutta la carriera rimanendo lontano da Venezia per ben vent'anni. Quando viene chiamato nel Maggior consiglio a difendersi dalle accuse di malversazione, la maggior parte dei suoi colleghi patrizi non l'ha neanche mai visto in faccia. Morosini ha una vera passione per le galeazze e sarà l'ultimo comandante a utilizzarle intensamente in battaglia. Una delle sue più clamorose azioni militari avviene nella primavera 1647, quando forza il porto di Scio (Chios) dove sono alla fonda ottanta galere ottomane, cinque vascelli algerini e cinque maone da carico, cannoneggia i nemici, manda un contingente a terra che riesce a smontare una batteria costiera, prima che tutti tornino al largo incolumi. Ma non basta: nella medesima campagna forza pure il porto di Chismè e, pur sotto il tiro delle artiglierie costiere, incendia un'intera flottiglia di naviglio leggero da combattimento. Per due mesi, tutte le sere, si àncora davanti al porto di Napoli di Romània per impedire ai vascelli turchi di fuggire. Il palazzo di Santo Stefano è rimasto dimora di famiglia fino alla morte dell'ultima rampolla, Loredana Morosini Gatterburgh, nel 1884. Dieci anni dopo la sua scomparsa, gli eredi la famiglia ungherese Szàpàry incaricarono la ditta antiquaria Sambon di vendere tutto il contenuto dell'edificio. L'armeria e l'archivio, per fortuna sono stati acquistati dal Comune di Venezia, mentre l'immobile dal 1928 è proprietà delle Assicurazioni Generali e per molti anni è stato la sede del Consorzio Venezia Nuova. L'armeria è, almeno in parte, esposta al Civico museo Correr.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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