L'ANNIVERSARIO
«Perché t'adora tutte le persone/ Ti sta coverta sotto

Domenica 21 Ottobre 2018
L'ANNIVERSARIO
«Perché t'adora tutte le persone/ Ti sta coverta sotto un bianco velo/ Che, se qualcun te l'alza, e che t'espone/ Vittima sul to altar casca ogni oselo»: sono alcuni versi del sonetto Lode alla mona, ovvero una delle più celebri composizioni poetiche di Giorgio Baffo, che forma una trilogia assieme alla Lode al culo («Ti me par un melon taggià in do fette») e alla Lode alle tette («Vu se quelle colline delicate/ Dove in mezzo, co i puol, i oselli svola»).
IL PERSONAGGIO
Baffo era l'ultimo rampollo di una famiglia patrizia veneziana non troppo illustre, di quella che era definita nobiltà quarantiotta e che formava una fascia di mezzo tra gli illustrissimi della nobiltà senatoria e i poveri barnabotti. Erano così chiamati perché la più importante magistratura alla quale potessero aspirare erano le Quarantie, criminale o civile, e infatti Baffo conclude la propria, modesta, carriera politica proprio nella Quarantia criminale, della quale fa parte nel 1768, quando muore (quest'anno cadono i 250 anni).
Giorgio Baffo era una specie di Dr Jekyll e Mr Hyde, ovvero da un lato un patrizio dalla vita personale noiosa e irreprensibile (almeno da quanto se ne sa), sposato con la nobildonna Cecilia Sagredo senza che mai la coppia fosse divenuta oggetto del pur vivacissimo pettegolezzo lagunare. Dall'altro componeva sonetti ad altissimo contenuto erotico che scriveva su foglietti e poi provvedeva di persona a distribuirli tra i libertini dell'epoca. Non era affatto, comunque, una specie di maniaco sessuale che sfogava la propria libido scribacchiando, ma un perfetto figlio del suo tempo.
IL LIBERTINISMO
La Venezia del Settecento era, con Parigi, la capitale del libertinismo europeo, un posto dove si viveva la sessualità in maniera molto, ma molto, libera. Basti ricordare le memorie di Giacomo Casanova, o certi epigrammi che coinvolgevano le più illustri nobildonne dell'epoca («La Trona, la Benzona e qualche altra buzarona»).
Esistevano alcune regole alle quali era doveroso attenersi: per esempio le ragazze dovevano arrivare vergini al matrimonio (il che non significa che non avessero alcuna esperienza) e poi erano libere di avere quanti amanti volessero, a patto di chiedere il permesso all'amante precedente, permesso che normalmente veniva concesso. Tanto per dirne una, Isabella Teotochi Albrizzi, la regina dei salotti settecenteschi, nonché l'iniziatrice di Ugo Foscolo all'amore fisico, chiede al marito Giuseppe Albrizzi di potersi prendere come amoroso (si diceva così) Vivant Denon, ovvero il fondatore del museo del Louvre (nonché uno dei saccheggiatori di Venezia).
Quando Lord Byron arriva a Venezia, nel 1816, trova la città ancora del tutto immersa nel clima libertino del secolo precedente e scrive: «Una dama con un solo amante non si considera abbia travalicato la modestia del matrimonio, in quanto questa è la prassi regolare. Alcune ne hanno due, tre e via dicendo fino a venti, dopo il qual numero non li contano più. I mariti naturalmente appartengono alla moglie di chiunque, meno alla propria». Chiaro che tutti sapevano tutto, perché il marito dell'una era l'amante dell'altra, in una specie di catena alla quale si continuavano ad aggiungere nuovi anelli. In una società dove si verseggiava senza sosta nei salotti si parlava in rima i componimenti di Giorgio Baffo non appaiono affatto strani o maniacali. Per la verità non ci appaiono oggi, perché fino a non moltissimi anni fa le cose stavano diversamente.
I SONETTI
Illuminante è la voce Baffo, Giorgio del Dizionario biografico degli italiani, compilata nel 1963 da Giovanni Francesco Torcellan, studioso di cose veneziane, dove si trova scritto: «Una sorta di persecuzione, d'opprimente mania erotica, aveva tormentato con prepotente tenacia la fantasia del patrizio veneziano traducendosi in lunghe pagine di laide canzoni, di osceni sonetti e madrigali». Per di più si negava che esistesse una Dominante libertina: Torcellan parla di «oscena idealizzazione di Venezia città di piaceri» e di «superficiale mitizzazione della Serenissima settecentesca». Povero Baffo, se avesse saputo come sarebbe stato maltrattato, se ne sarebbe probabilmente avuto molto a male.
In ogni caso gli inquisitori di Stato vigilavano sul buon nome di Venezia e nel loro archivio si ritrova una riferta (relazione) dove si accusa Giorgio Baffo di diffondere i propri versi tra patrizi perdigiorno e stranieri ansiosi di conoscere le curiosità locali. Un minimo di prudenza aveva fatto sì che le edizioni a stampa dei versi erotici portassero falsi luoghi di pubblicazione: la prima, del 1771, Londra, la seconda, del 1789, Cosmopoli. Entrambe sono state invece con ogni probabilità stampate a Venezia; Cosmopoli, poi, nemmeno esiste.
LA SCOPERTA
Di recente è emersa una nuova edizione, della quale non si aveva notizia, che contiene 43 sonetti in precedenza sconosciuti. La scoperta perché di questo si tratta è stata fatta un paio d'anni fa da un collezionista piemontese, Rinaldo Bellato, che vive a Rivoli, in provincia di Torino. Lo hanno chiamato a guardare se ci fosse qualcosa di suo interesse in una biblioteca torinese appartenente a un anziano defunto che gli eredi stavano per smembrare. È rimasto colpito da un volumetto in sedicesimo (ovvero delle dimensioni di un pacchetto di sigarette) con i versi di un poeta al momento per lui sconosciuto. Si è informato, ha studiato, e si è reso conto di avere in mano l'unico esemplare conosciuto al mondo di un'edizione datata Marmirolo 1789, quindi contemporanea a quella di Cosmopoli e che, come quella, riporta una località inesistente. La differenza è che nel volumetto acquistato da Bellato sono riprodotti 334 sonetti, ovvero 49 in più rispetto all'altra raccolta, e 46 di questi risultano completamente sconosciuti. Il volume non risulta catalogato in alcuna biblioteca pubblica italiana o europea e chissà che dimenticate negli scaffali di qualche biblioteca privata non ne esistano altre copie.
Una scoperta importante e bellissima, quindi, sia per i seguaci di Baffo, sia per la letteratura in genere. Giorgio Baffo si meriterebbe il posto che gli compete nella storia letteraria italiana, posto che gli viene invece negato per la presunta oscenità dei suoi versi (una simile condanna all'oblio tocca anche a Pietro Aretino, uno dei più importanti poeti cinquecenteschi, bollato pure lui di oscenità). Bellato si augura che qualcuno abbia voglia di allestire uno spettacolo teatrale con i sonetti di Baffo e di altri poeti libertini del periodo, e che magari ci sia un editore contemporaneo che sia allettato dall'idea di ristampare questa nuova, e più ampia, edizione dei lavori del patrizio che componeva versi erotici.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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