L'ANNIVERSARIO
Nel 1940 la guerra impone alla Biennale di Venezia di scegliere

Mercoledì 30 Settembre 2020
L'ANNIVERSARIO
Nel 1940 la guerra impone alla Biennale di Venezia di scegliere se sospendere del tutto o continuare in tono ridotto le manifestazioni. La situazione è difficile: il palazzo del cinema del Lido è requisito dalle Forze armate ed è impossibile avere film dalle nazioni nemiche dell'Asse. Ma, come ricorda Ottavio Croze, allora direttore della Mostra del cinema, «il Duce lo vuole» e quindi «nacque l'idea di una manifestazione italo-tedesca». Il 1 settembre del '40, al cinema San Marco, con la proiezione di Opernball di Géza von Bolvary si apre la Settimana cinematografica Italo-Germanica: in programma i film di sole sette nazioni (oltre all'Italia e alla Germania, Boemia, Romania, Svezia, Svizzera e Ungheria). Nonostante i discorsi entusiastici degli organizzatori, il tono è grigio e ben poco festivaliero. «Non v'erano giacche bianche al cinema San Marco la sera dell'inaugurazione né scollature femminili scrive Michelangelo Antonioni, allora cronista per la rivista Cinema La Mostra si è inaugurata ufficialmente nelle ore d'oscuramento; nella sala s'avvertiva un'atmosfera del tutto differente». Pochi gli attori presenti, molte le personalità: il duca di Genova, il ministro della Cultura popolare Pavolini, Volpi, Cini, Freddi e industriali del cinema nazisti. Qualche giorno più tardi arriverà in aereo da Berlino anche Joseph Goebbels.
«La novità vera scrive il critico Guido Aristarco verrà data non da abbigliamenti vaporosi, da tulli e pizzi finissimi: ma dal grigioverde dei nostri soldati» e nel pomeriggio del primo settembre, al cinema Rossini ricoperto dalle bandiere italo-tedesche e davanti a una platea di soli militari, Pavolini detta la linea: «le pellicole programmate prefigurano l'Europa cinematografica di domani, dopo la definitiva vittoria dell'Asse», è l'Europa nazi-fascista. L'otto settembre la mostra si chiude: a vincere la coppa Mussolini è il fascistissimo L'assedio dell'Alcazar di Augusto Genina.
FILM QUOTIDIANO
Nonostante il tono minore, in una Venezia veramente irreale nel buio dell'oscuramento, si finge che tutto sia come prima e il festival è seguito entusiasticamente da Film quotidiano, una rivista pubblicata quotidianamente nella tipografia di Il Gazzettino e che ha la sua redazione e amministrazione a Ca' Faccanon a Venezia assieme a quella del nostro giornale. A dirigerla è il veronese Mino Doletti, ardente fascista (aderirà alla Repubblica sociale continuando a stampare la rivista Film a Verona fino alla Liberazione). Le otto pagine di grande formato di Film quotidiano si aprono con la rubrica 24 ore, ovvero notizie dal fronte di guerra, la presentazione dei film del giorno a firma del critico d'arte Raffaele Calzini o con i discorsi di Pavolini e Goebbels. Al suo interno la critica dei film in programma (critica sempre benevola e entusiasta in particolare con le opere italiane e tedesche), rubrichette rosa che raccontano le piccole traversie di attori e registi a Venezia, interventi di carattere generale sul cinema e un romanzo cinematografico a puntate. L'ultima pagina si chiude con una serie di fotografie di Eugenio Haas. La rubrica più discutibile è tenuta dallo scrittore napoletano Giuseppe Marotta: La mostra apocrifa, ovvero i film che in tempi normali avrebbero potuto mandarci e che se Dio vuole non ci hanno mandato. Finta recensione di film immaginari che irridevano la Francia, l'Inghilterra, gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica, ma anche profondamente antigiudaici (storie di ebrei tirchi o abominevoli) e antifemministi (con donne dei Paesi nemici sempre sciocche e vanitose). Tra le firme, oltre a Marotta, lo scrittore trevisano Giuseppe Bevilacqua, il commediografo Vittorio Calvino, il drammaturgo e critico teatrale vicentino Eugenio F. Palmieri, il giornalista Arnaldo Frateili. Doletti, il direttore, scriveva che mentre nelle trincee si combatte a Venezia si combatte la battaglia dei premi, ma è un conflitto per modo di dire perché le coppe Mussolini, decise dal conte Volpi, andranno equamente a un film italiano e a un film tedesco.
Film quotidiano chiuderà i battenti il 5 settembre del 1942 assieme all'ultima Mostra di guerra sempre più prona agli alleati nazisti aprendo la serie con la cronaca dell'arrivo di Goebbels (un fedele di questa città che egli ama e da cui sa di essere amato, scrive Luciano Ramo nella rivista) che in tenuta militare arriva in treno a Venezia (l'aereo è divenuto troppo pericoloso) e che dopo aver deposto una corona d'alloro al Tempio Votivo del Lido si reca al cinema San Marco per la proiezione di I tre aquilotti di Mario Mattoli, spettacolo per le Forze armate.
LA SCONFITTA
La caduta del fascismo e il caos istituzionale dopo l'otto settembre del 1943 cancellano ogni possibilità per la Biennale di realizzare non solo la Mostra del cinema, ma anche quella delle Arti visive. A Roma, Cinecittà viene depredata dei macchinari dai nazisti e si trasforma presto in riparo per gli sfollati, ma Luigi Freddi, il boss della cinematografia fascista che aderisce a Salò, ha un'idea: trasferire Cinecittà a Venezia. Ferdinando Mezzasoma, nuovo ministro della Cultura popolare, concorda così con i tedeschi la creazione di un Cinevillaggio in laguna. Traslocati, in parte, i materiali tecnici a Venezia, bisognava convincere al trasferimento al Nord gli attori, i tecnici, gli amministratori, ma restava ancora un problema: i teatri di posa non erano ancora individuati. Eliminata la possibilità di usare gli attrezzati stabilimenti della Scalera alla Giudecca che avevano iniziato la produzione di Senza famiglia diretto da Giorgio Ferroni, non restavano che i padiglioni delle arti figurative della Biennale. C'erano tuttavia dei problemi da superare: in primo luogo l'autonomia dell'ente veneziano e la remota possibilità di un'eventuale edizione nel 1944 della Biennale arte. L'ente cercò in un primo tempo di fare qualche timida resistenza alle richieste, ma poi cedette. Antonio Maraini, segretario generale della Biennale, l'11 gennaio del '44 scriveva a Freddi: «II destino ha voluto che la Biennale e il cinema stringessero sempre più intimi legami. Oggi saranno i suoi saloni e i padiglioni ad ospitarlo. Ne sono lieto... sugli schermi invece di Cinecittà si leggerà Cinebiennale!». Nei padiglioni ai Giardini (alcuni dei Paesi nemici) trovarono posto i teatri di posa della Cines e i laboratori del Luce che continuò fino al 28 aprile 45 a produrre a Venezia cinegiornali di propaganda. Il 21 febbraio del 1944 si batte il primo ciak di Fatto di cronaca di Piero Ballerini interpretato dalla coppia Luisa Ferida e Osvaldo Valenti (che verranno fucilati nel '45 su ordine di Sandro Pertini per le loro azioni criminali contro i partigiani). Ne seguirono pochi altri e con la Liberazione l'avventura del Cinebiennale finirà come era nata: un bluff.
Giuseppe Ghigi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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