L'ANNIVERSARIO
Al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi interessa soltanto

Mercoledì 8 Luglio 2020
L'ANNIVERSARIO
Al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi interessa soltanto che ci sia un governo, giusto in tempo per le Olimpiadi di Roma del 1960, quando l'Italia sarà al centro dell'attenzione mondiale e bisognerà fare bella figura.
È un'estate che si scalda presto in un clima di euforia. L'Italia si è appena accorta che sta vivendo il suo momento più ricco dal dopoguerra, è quello che gli inglesi chiamano boom e che gli italiani si sforzano di definire miracolo economico. È un'Italia che ha fiducia nel futuro, compra quel futuro con le cambiali che puntualmente onora.
Per ricordarsi che è l'anno olimpico, eccezionalmente il Giro d'Italia parte da Roma dopo aver commemorato Fausto Coppi, il Campionissimo morto a gennaio. Il francese Jacques Anquetil arriva a Milano in maglia rosa. Nel calcio ancora Juventus con un attacco da 77 gol: Sivori 28 reti, Charles 23, il padovano Nicolè 11.
LA NOMINA
A scaldare l'estate italiana, però, è la politica. A fine marzo Gronchi decide di affidarsi a un veterano del potere democristiano, Fernando Tambroni, marchigiano, 59 anni, una patente di antifascista, lunga esperienza da ministro dell'Interno. Il suo ufficio stampa lo presenta in questo modo agli italiani: Appartiene a quella borghesia maschia e virile che si affaccia sui problemi sociali senza paura. Si pensa che quegli aggettivi maschia e virile funzionino sempre, evochino un certo passato e si adeguino a un certo futuro.
Il 4 aprile chiede fiducia alla Camera in nome di legge e ordine e passa con 300 sì e 293 no. Determinanti i voti di 24 parlamentari dell'Msi e questo provoca l'uscita immediata di tre ministri democristiani. Non sa bene cosa fare e una settimana dopo presenta le dimissioni, facendo cadere la Borsa di quasi 4 punti, ed è la prima volta da anni. Non c'è tempo da perdere, Gronchi visto che il sì della Camera c'è comunque stato, rimanda Tambroni al Senato che dà via libera, almeno fino all'autunno. Il tutto in un clima di sospetti nel quale si ventila perfino il pericolo di un golpe imprecisato che potrebbe mettere a rischio l'incolumità del Capo dello Stato. Per questo nella Capitale è stata aumentata la presenza fissa di forze dell'ordine.
LA SCINTILLA
Arturo Michelini, segretario del Msi, presenta subito la sua cambiale all'incasso e convoca il VI congresso nazionale a Genova dal 2 al 4 luglio, al teatro Margherita in via XX Settembre, a pochi metri dalle lapidi che ricordano gli eccidi nazifascisti. L'intenzione è anche buona: rompere col fascismo storico e integrarsi col sistema democratico. La cosa passa quasi sotto silenzio, fino a quando sull'edizione di Genova dell'Unità si definisce una grave provocazione il congresso missino nella città medaglia d'oro della Resistenza. Il 25 giugno si muove un corteo di protesta e si verificano i primi incidenti. Il senatore socialista ligure Sandro Pertini, che è stato capo della Resistenza, spinge per un sciopero generale proclamato per il 30. In realtà tutta la sinistra e i partiti laici, ma anche una parte della Dc, si uniscono per fare cadere il governo Tambroni e per contenere la libertà d'azione dell'Msi.
LO SCONTRO
Il questore Lustri fa affluire massicci rinforzi di polizia e in piazza De Ferrari a fine giugno si scatena una vera battaglia: camionette che tagliano il corteo, auto della polizia date alle fiamme, bombe lacrimogene, barricate, manifestanti che distruggono la pavimentazione della piazza e usano le pietre come arma, assalti, manganelli, fucili. Restano per terra decine di feriti, si è sparato molto ma fortunatamente in aria.
A quel punto è evidente che il congresso non si farà e Michelini accusa il governo di non proteggere il suo partito. Tambroni, a proposito di quella borghesia maschia e senza paura, si fa negare al telefono.
Ormai l'onda non può tornare indietro. Tambroni vuole la dimostrazione di forza. A Roma, a Porta San Paolo, il 6 luglio, gli agenti caricano il corteo e alcuni deputati restano a terra feriti. Segue lo sciopero generale della Cgil, questa volta a caricare sono i carabinieri a cavallo e nel tumulto muore un agente.
L'ECCIDIO DI REGGIO
L'indomani a Reggio Emilia agenti e carabinieri perdono la testa e sparano nel mucchio. Cinque operai morti, il più giovane di 19 anni. Il servizio d'ordine schiera 350 uomini, restano per terra le pallottole di 182 colpi di mitra, 14 di moschetto, 39 di pistola. Non si è mai riusciti ad accertare chi abbia dato disposizioni alle forze dell'ordine di usare le armi da fuoco. Saranno processati per omicidio colposo plurimo e assolti con formula piena a Milano il vicequestore Giulio Cafari Panico e un agente. Negli stessi giorni ci sono quattro morti anche a Palermo e a Catania. Fausto Amodei canta la ballata dei morti di Reggio Emilia: Teniamoci per mano in questi giorni tristi/ Di nuovo a Reggio Emilia di nuovo la' in Sicilia/ Son morti dei compagni per mano dei fascisti.
LA TENSIONE
Il Presidente del Senato Cesare Merzagora, dopo aver parlato di un prodromo di guerra civile, propone una tregua d'armi, con il ritiro della truppa nelle caserme e la revoca degli scioperi. Il clima è teso, lo stesso Moro è preoccupato, non dorme a casa, cambia ogni notte domicilio, si sente pedinato. In realtà è un assaggio di quella che sarà chiamata nel prossimo decennio strategia della tensione, con la politica gettata sul terreno della violenza per rincorrere il potere; con l'abuso dell'intervento poliziesco usato non per l'emergenza ma per gli scopi dello stesso potere. Si finisce, però, per capire che i rapporti di forza parlamentari non sono i soli determinanti, che l'opinione pubblica vuole contare.
LA RESA DEI CONTI
Il destino politico di Tambroni è segnato, prima di dimettersi alla Camera accusa prima il Pci di aver preordinato i disordini per uscire dall'isolamento, poi dice di aver voluto mettere in salvo il Paese da un tentativo di colpo di stato di destra del quale era venuto a conoscenza.
La Dc si sforza di far dimenticare in fretta Tambroni agli italiani. L'avvocato marchigiano morirà per infarto a Roma il 18 febbraio 1963 e la Dc nel necrologio ufficiale lamenterà la immatura scomparsa dell'indimenticabile amico. Pochi giorni prima il segretario della Dc Aldo Moro aveva comunicato all'indimenticabile amico che il partito non lo avrebbe candidato alle elezioni di aprile.
I LATI OSCURI
Si riparla immediatamente dell'esistenza di un archivio misterioso curato da Tambroni come ministro dell'Interno. I documenti sono raccolti in un casellario di 17 mila fascicoli suddiviso per sigle che indicano ex fascisti e dirigenti del Msi, comunisti, parlamentari e loro familiari; giornalisti e intellettuali, attori, sindacalisti. Tiene le fila il Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate), retto da quattro anni dal generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo che tra non molto farà parlare di sé con un altro inquietante archivio. Tra i fascicoli il più sorprendente forse per Tambroni è quello che lo riguarda: ce n'è uno intestato a lui e ricco di foto, racconta della sua relazione - evidentemente non troppo segreta - con un'attrice bella e famosa, Sylva Koscina.
Intanto, Gronchi richiama Fanfani che deve accontentarsi di un governo interamente democristiano, con i socialisti che si astengono e gli altri partiti laici a dare l'appoggio esterno. È il governo che Aldo Moro battezza delle convergenze parallele. Assorbe gli effetti della nascita di una nuova corrente democristiana: quella dorotea detta così perché nata nel convento romano di Santa Dorotea.
Se n'è andato anche luglio e c'è da pensare alle Olimpiadi.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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