L'«angelo» è volato in Cielo addio all'attore Bruno Ganz

Domenica 17 Febbraio 2019
L'«angelo» è volato in Cielo addio all'attore Bruno Ganz
LUTTO
Per un'intera generazione di appassionati di cinema, Bruno Ganz è stato il corniciaio Zimmermann di «L'amico americano» e l'angelo Damiel di «Il cielo sopra Berlino» e «Così lontano, così vicino». Ma ricordare così l'attore svizzero (di madre italiana) che è scomparso ieri a Zurigo dopo una tenace lotta contro la malattia, non rende giustizia a quello che è stato riconosciuto come il miglior attore di lingua tedesca del secondo Novecento. Nato a Zurigo nel 1941 da un meccanico svizzero, Ganz scoprì giovanissimo la sua vocazione. Il vero pigmalione, però, fu Peter Stein, amico e sodale per tutta la vita. Dopo una travagliata storia d'amore con Romy Schneider che l'aveva portato a lasciare la moglie Sabine e il figlio Daniel, Bruno Ganz incontra Wim Wenders che lo chiama, a fianco di Dennis Hopper ne «L'amico americano» dal romanzo di Patricia Highsmith.
SUCCESSO PLANETARIO
Il riuscito cocktail tra la forma narrativa del noir e le pensose scorribande visive del miglior Wenders producono un'opera memorabile. L'amicizia tra l'attore e il regista li porterà poi a ritrovarsi, 10 anni dopo, per «Il cielo sopra Berlino». Intanto però Ganz diventa il volto prediletto di una nuova ondata di registi amati dalla critica e dalla cinefilia: è protagonista per Peter Handke in «La donna mancina» e per Reinhard Hauff in «Il coltello in testa» (entrambi del 78), Werner Herzog in «Nosferatu» (1979), Wolker Schlondorff (suo il carismatico fotoreporter de «L'inganno», 1981). Ma Ganz è assetato di cinema europeo e grazie al suo talento per le lingue, sempre con inconfondibile accento, sbarca in Italia (lo vogliono Bolognini per «La vera storia della signora delle camelie», Nelo Risi per «Un amore di donna», Giuseppe Bertolucci per «La domenica specialmente» e «Oggetti smarriti»), viaggia tra Svizzera e Portogallo per il magnifico «Dans la ville blanche» di Alain Tanner, riconquista la sua terra natale con «Bankomatt» di Villi Hermann. Stringe amicizia con Theo Angelopoulos che per «L'eternità e un giorno» vincerà la Palma a Cannes nel 1998. Se in quella vivace stagione il pubblico italiano si innamorerà di lui per «Pane tulipani» di Silvio Soldini (David di Donatello del 2000), sarà la sua interpretazione di Hitler nel 2004 («La caduta» del tedesco Oliver Hirschbiegel) a farne un'icona mondiale. «Avrei voluto arrivare al cuore di Adolf - ha detto una volta - ma ho fallito perché non c'era un cuore».
Oggi lo ricorda il festival di Berlino in un'edizione di passaggio dal vecchio al nuovo che in qualche modo va a coincidere con la scomparsa di un'epoca: i giorni del nuovo cinema tedesco e dell'«ultima onda» del cinema europeo finiscono con la fine di Bruno Ganz, l'uomo che viveva in tre case: a Zurigo con l'amata Ruth Walz, a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, dove restava il suo cuore, a Berlino dove pulsava la sua vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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