L'americano di Chioggia

Lunedì 23 Settembre 2019
L'americano di Chioggia
L'INTERVISTA
È riuscito a far sfilare un bragozzo nella Quinta Strada di New York per il Columbus Day. Ce l'ha fatta a far arrivare in America le reliquie di Santa Barbara, la patrona dei pompieri, per onorare il sacrificio dei 343 vigili del fuoco, molti italoamericani, morti dopo l'attentato delle Due Torri. Ed è stata un'operazione complessa risolta con un colpo di genio: «Per Santa Barbara ho imparato un altro mestiere, come trasferire i morti negli Stati Uniti. A loro importava poco che si trattasse di una santa, allora ho applicato la legge per i Caduti in Vietnam. Così la santa è partita da Burano e ha viaggiato in prima classe, gratis, come compete a una principessa, scortata dal picchetto d'onore di pompieri e marinai dei quali è protettrice», racconta Luciano Boscolo Cucco, 68 anni, di Chioggia. Anche per questo nel 2009 gli italoamericani lo hanno premiato come uomo dell'anno. Ha pure portato una gondola a Saint Tropez e i francesi l'hanno fatto cittadino onorario.
La Dragaggi Cucco lavora in tutta Italia, sede a Marghera, 7 milioni di euro di fatturato. Luciano Boscolo Cucco, due figli Stefano e Gino impegnati in azienda, ha inciso un cuculo come simbolo sul fumaiolo delle sue motonavi: «Una volta si riconoscevano le imbarcazioni dal simbolo della vela».
La storia dei Cucco incomincia nel 1870 con un burchio di 25 metri che trasporta di tutto: sabbia, mattoni, verdure. Mestieri di terra e di acqua insieme. Eugenio Cucco riceve l'imbarcazione dal padre, ma dopo Caporetto gli viene requisita e, munita di mitragliatrice, utilizzata per la difesa del Piave nella battaglia del Solstizio. «Mio nonno era un sabbionante che viveva a bordo con la famiglia, veniva a Venezia per i canali navigabili. Una volta c'era il baratto, si scambiavano le merci: a San Donà scambiavano il vino con la ghiaia».
È stato poi suo padre Gino a far crescere l'azienda?
«Dopo la seconda guerra mondiale ha fatto tutto mio padre Gino che aveva lavorato anche a Venezia con l'ingegner Miozzi, quello che ha costruito il Ponte della Libertà. Raccontava che l'ingegnere aveva due piedi enormi, due scarpe grandi. Lui andava a pulire l'isola di Sacca Sessola e i conventi di San Francesco del Deserto, tra giovani fraticelli che, scalzi, spingevano i carrelli sulla neve. Era un uomo con una grande fede: quando il priore Rocco Noè gli chiese cosa volesse, lui indicò un pezzo del tronco che secondo la leggenda era nato dal bastone piantato da San Francesco. È morto nel 1985 in un incidente stradale andando a trovare un amico della Capitaneria di Ravenna. Non ho ancora pianto mio padre. Ho avuto molte testimonianze su chi era, ma solo dopo la morte».
Fin da bambino in barca: era un destino scritto il suo?
«Il sogno di mio padre era che io studiassi, gli ho un dispiacere. Da bambino non dormivo per paura che lui partisse senza di me. Salivo sui burci quando andavano a Venezia a portare la sabbia che caricavano sul Piave o sul Brenta e avevo il compito di gettare l'acqua filtrata dalla sabbia con i barattoli della conserva. Si ghiacciavano le mani per il freddo in pieno inverno e per scaldarmi mi dava un sorso di Mandarinetto Isolabella».
Come era allora il lavoro?
«Avevo 15 anni quando nel 1966 per fronteggiare l'alluvione a Scardovari hanno requisito le barche, però questa volta a pagamento, e io mi sono accodato. Ho visto le persone piangere davanti alle loro barche affondate. Abbiamo ordinato le prime imbarcazioni in ferro, eravamo pieni di debiti, ma aveva preso una bella commessa dalla Montedison a Marghera. Poi abbiamo preso un lavoro importante a Venezia in campo Manin, per la nuova Cassa di Risparmio: dovevamo portare via i detriti della demolizione. Andavamo a ormeggiare davanti alla Reyer. Mi dava la paghetta la domenica, bastava per un toast e per il cinema, a quel tempo non mi perdevo un film di Maciste e ce n'era uno proprio veneziano, Kirk Morris, ma aveva un altro nome.
Poi sono arrivati gli anni del boom
«L'azienda si era ingrandita e negli anni del boom abbiamo lavorato ovunque, a 22 anni dovevo andare in Sardegna, a Porto Torres, su una nave che era stata appena trasformata. Eravamo educati a obbedire, ascoltare e rispettare, ci bastavano i bussolai, un fiasco di vino e del buon salame. Ci hanno fatto uscire col mare a forza sette e un rimorchiatore che ci trainava in pieno Tirreno, solo che il rimorchiatore si è rotto e la nave non era proprio pronta ad affrontare onde altissime. Ho visto la morte in faccia, i compagni si mettevano a piangere. Mio padre pensava che fossimo affondati, nessuno rispondeva, alle Capitanerie non sapevano niente. Quando siamo arrivati ci hanno abbracciato tutti.
Cosa fa oggi la Dragaggi Cucco?
«Lavoriamo da 40 anni sulla costa adriatica, al funerale di mio padre c'era il gonfalone di Cervia. Ai funerali ho scoperto che aiutava tanti, sulla tomba ho visto molti che non conoscevo e deponevano un fiore. Ho imparato da lui, siamo anche stati a Lampedusa a premiare la Guardia Costiera per la sua opera umanitaria. Rifacciamo le spiagge dopo l'erosione».
Come mai è rimasto coinvolto nello scandalo Mose?
«Io tangenti non ne ho mai pagate, ho fatto alcuni lavori di dragaggio per far entrare i cassoni al Lido. Ero contro il sistema e sono stato inquisito con un trust tra associazioni temporanea tra piccole aziende. Sono stato prosciolto dopo cinque anni, senza nemmeno processo. Agli atti risultano testimonianze a nostro favore, un imprenditore ha detto chiaramente che Cucco era da tenere lontano perché pericolosamente onesto, proprio così, tra virgolette!».
Non solo dragaggi nella sua vita?
«Non fumo, non bevo, non so ballare, ma faccio chilometri per trovare un buon ristorante di pesce. La sera in tv faccio zapping continuo. Una sera ho visto una sfilata di Marinai, da bambino il nonno che era stato marinaio mi portava a visitare gli Ossari e mi ha insegnato il rispetto per i Caduti. In tv ho visto vecchietti che piangevano perché passava il tricolore e mi sono commosso. Poi la pubblicità ha interrotto mostrando una barca a vela che va verso un distributore di benzina e penso che sarebbe stato bello far sfilare un bragozzo a New York. Ecco è nato tutto così: per la sfilata americana ho fatto arrivare in 16 ore il pesce fresco da Chioggia a Manhattan, i cuochi di Cipriani hanno lavorato con noi e da Asiago Rigoni aveva mandato le marmellate. Colleziono anche ex voto, tolèle, tavolette, sempre di soggetto marinaresco. È un viaggio tra storia, tempeste e fede. Perché tuti avèsse a recordare/ la fee e quanto duri xe stai,/ per i pescatori i tenpi passai!, dice una poesia.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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