«Instagram e l'illusione della celebrità»

Sabato 14 Dicembre 2019
Instagram o del conformismo. Post emblema di una vita illusoria in cui ognuno cerca con fatica di scalare la piramide sociale a colpi di cuori e di tramonti, rimanendo invece inesorabilmente indietro. Paolo Landi, per vent'anni capo della comunicazione di Benetton e oggi da dieci in OVS, racconta perchè il pianeta si dia convegno ogni giorno in maniera compulsiva su questa piattaforma, dando di sè una rappresentazione forzatamente migliore. Il libro sarà presentato oggi alle 18,30 alla libreria Goldoni a Treviso in dialogo con Giuliano Pasini.
Nel libro lei racconta il tramonto di Instagram o il tramonto su Instagram?
«Il titolo è provocatoriamente ambiguo. Si potrebbe prefigurare un declino per Instagram se pensiamo alla rapida obsolescenza di questi mezzi. Mi viene in mente la second life: quando uscì pareva che a breve avremmo avuto tutti un Avatar. Ma non è stato così. La verità è che oggi Instagram fa il pieno di like soprattutto al tramonto quando milioni di persone fotografano l'imbrunire. Ecco, il libro parte da qui: cerchiamo di spiegare come mai postiamo le foto del cane, di un tramonto e di una pizza».
Nel libro ci sono sedici screenshot selezionati da Oliviero Toscani e dai ragazzi di Fabrica.
«Abbiamo pensato che fosse divertente usare il mezzo che è poi l'oggetto del libro e quindi, con uno smartphone e due semplici tasti, selezionare immagini che trattino alcuni punti salienti Diciotto capitoli brevi e una sorta di voce enciclopedica su Instagram. Nel libro sono trattati vari temi, dallo snobismo all'economia alla religione».
Cosa emerge?
«Su Instagram tutti noi vogliamo far credere di essere meglio di ciò che siamo realmente. Per questo seguiamo le celeb e i calciatori del cuore, illudendoci che se mettiamo un like su un post di Ronaldo lui si interesserà a noi. Invece rimaniamo confinati nel nostro anonimato, soli nella nostra stanza. Perchè a dispetto di ciò che possiamo credere, Instagram non solo non abbatte le barriere sociali, ma le amplifica. Aumentando la nostra frustrazione».
Questo può fornire una spiegazione alla recrudescenza dell'odio sui social?
«Forse. Nelle foto siamo migliori e nei commenti peggiori. A me, ad esempio, colpisce molto come su Instagram le pagine legate a Gesù Cristo siano piene zeppe di bestemmie. Cosa che non avviene ad esempio per le pagine del Dalai Lama».
La politica e Instagram. Chi usa bene il mezzo e chi no?
«Salvini, Di Maio, la Boschi usano molto i social e dunque Instagram. Diciamo che se il regno di Salvini è Facebook, Renzi secondo me è quello che più degli altri ha trovato un modo di chiaro di parlare su Instagram capendo che l'impostazione delle immagini è fondamentale».
Vent'anni in Benetton e oggi in OVS. C'è una campagna che le è rimasta particolarmente nel cuore?
«Beh diciamo tutte le campagne con Oliviero Toscani. Ma devo dire anche la prima campagna di OVS nel 2010, in cui abbiamo fotografato persone comuni insieme a vip che hanno scelto però il semi anonimato come Ginevra Elkann e Jessica Einaudi, figlia di Ludovico. Gli scatti furono realizzati da Scott Schuman, che all'epoca aveva un blog molto seguito, The Sartorialist. Volevamo dimostrare che vestire OVS è trasversale, che il marchio attraversa la società in maniera liquida».
Lei è arrivato a Treviso quasi trent'anni fa. Come vede la Marca dalla sua casa in Restera, lungo il fiume?
«È una piccola Svizzera. Però io, camminando lungo il fiume con il mio Labrador, faccio servizio civile: tolgo i cleenex usati lasciati lungo gli argini, le cartacce. I Trevigiani, per me, dovrebbero amare un po' di più la loro città, non limitarsi a scriverlo sui social».
Esiste un Dna provinciale a Treviso secondo lei?
«Direi che non esistono città provinciali, esistono piuttosto persone provinciali. Anche a Treviso, ma non solo qui. Oggi invece la Marca è una città aperta con ampie possibilità di scambio».
Lei ha lavorato gomito a gomito con Luciano Benetton per tanti anni. Cosa si sente di dire rispetto alla campagna d'odio dopo la tragedia del Ponte Morandi?
«Ho un grande affetto per il signor Luciano, da lui ho solo imparato. Anche in termini di educazione e rispetto. Quanto a Ponte Morandi io dico che chi ci governa non può esporre al pubblico ludibrio un nome e un cognome».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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