Inca e Atzechi in Romagna con la collezione di Ligabue

Giovedì 25 Aprile 2019
Tra quello che unisce Faenza a Venezia - oltre che lo stesso numero di abitanti - ci sono l'appartenenza alla Serenissima dal 1503 al 1509, due globi del Coronelli distrutti dai bombardamenti del 1944 (e in parte recuperati) , un affresco di Gerolamo da Treviso e, da poco, alcuni oggetti precolombiani. Sono capolavori dell'arte della Mesoamerica e del Sud America prima della conquista spagnola, prestiti dalla collezione della Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia presieduta dal figlio Inti (nella foto) che appaiono, assieme ad altri di collezioni private e di musei italiani alla mostra Aztechi, Maya, Inca; e le culture dell'Antica America visibili al Museo Internazionale delle ceramiche fino al 28 aprile (chiuso i lunedì non festivi) nella cittadina romagnola.
I capolavori ceramici e tessili esposti a Faenza (quasi mille reperti, una delle più grandi collezioni del nostro paese) che vanno dal tre mila avanti Cristo fino all'arrivo dei conquistadores Cortez (Messico) e Pizzarro (Perù) stanno invertendo una deriva di dimenticanza di quell'area.
Capito il significato di quasi tutti i glifi che si trovano in Messico, cominciato a leggere i nodi annodati degli Inca. Quel mondo che non c'era si ripresenta grazie agli studiosi Aimi e Guarnotta che hanno allestito il percorso dell'esposizione che racconta come vivevano le donne, cosa si mangiava, come si comunicava dagli altipiani messicani dei maya fino all'estremo confine andino due mila anni fa. Per vedere cosa non abbiamo mai saputo (e quello che la nostra scuola non insegna) e soprattutto quale abilità tecnologiche avessero raggiunto popoli che non usavano la ruota né animali da carico - un lama porta solo 30 chili - occorre andare a Faenza. Ricordando però che gli ambasciatori veneziani a Madrid nel 1500 furono impressionati sì dagli ori e dagli argenti che arrivavano dalle Indie ma di più dalla quantità di cocciniglia, insetto dal quale si traeva (e si trae) l'acido carminico, ottimo per colorare i tessuti. Quella stessa Venezia che trasformò poi e per prima il mais nell'oro alimentare delle sue campagne.
Adriano Favaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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