Il teatro e la televisione in lutto È morta l'attrice Ilaria Occhini

Lunedì 22 Luglio 2019
LA SCOMPARSA
Teatro, cinema, televisione, letteratura: in tutti questi luoghi della cultura Ilaria Occhini (scomparsa ieri a 85 anni nella sua Firenze) è stata di casa, cresciuta fin da bambina in un contesto privilegiato: un nonno adorato come Giovanni Papini, un altro (più severo e distante ma sempre presente) senatore del Regno d'Italia, Pier Ludovico Occhini, il padre Barna scrittore, al centro della vita artistica fiorentina.
Questa eredità Ilaria Occhini si è sempre portata sulla scena, a suo agio nei salotti e alle premiazioni dello Strega (50 anni di felice matrimonio con Raffaele La Capria raccontano di una statura umana e intellettuale poco ripetibile.
Dal punto di vista artistico ha vissuto almeno cinque vite e sempre le ha concluse con successo. Diplomata all'accademia di Silvio d'Amico aveva il teatro nel sangue ma, ragazza controcorrente degli anni 50, riuscì a debuttare nel cinema sotto pseudonimo nemmeno ventenne in «Terza liceo» di Luciano Emmer. Era il 1954 e Anton Giulio Majano non esitò a offrirle la grande popolarità televisiva con lo sceneggiato «L'alfiere» trasmesso sul canale unico della Rai nel 1956. La sua versatilità seduceva: con Monicelli cavalcava la commedia («Il medico e lo stregone»,1957), con Luchino Visconti approdava in teatro (un formidabile «Impresario delle Smirne» nello stesso anno), in tv faceva innamorare le famiglie con «Jane Eyre» sempre diretta da Majano.
UNA CARRIERA IMPORTANTE
Visconti fu il suo Pigmalione con il trionfo di «Uno sguardo dal ponte» (1958) e moltissimi successi a seguire, ma seppe camminare da sola affrontando il musical «Ciao Rudy» con Mastroianni) per poi scegliere artisti come Giuseppe Patroni Griffi, Vittorio Gassman, Luca Ronconi fino al suo addio alle scene negli «Spettri» di Ibsen con la regia di Massimo Castri (2005) per poi tornare ancora, complice di Piero Maccarinelli nello sperimentale «Una notte a Sorrento».
La sua seconda vita è stata certamente legata alla televisione e le aprì le porte delle famiglie di ogni estrazione sociale con grandi successi da «Graziella» a «La fiera delle vanità», fino al recentissimo «Provaci ancora prof» (2013) e perfino un'apparizione in «Don Matteo».
Tutto sommato è proprio il primo amore (il cinema) ad averla trattata peggio: poche occasioni da protagonista tra «Un uomo a metà» di Vittorio De Seta (1966) e «Mar nero» di Federico Bondi (2008) che le valse il Premio come migliore attrice al festival di Locarno. In mezzo molto ruoli minori (spesso cesellati con grazia) nel cinema di genere degli anni 60 e 70 e poi riuscite parti disegnate su misura quando decise di tornare al cinema negli anni 90: da «Benvenuti in casa Gori» (1990, David dj Donatello) a «Mine vaganti» (2010) e alla sua ultima interpretazione («Una famiglia perfetta» di Paolo Genovese, 2012). Tutti i premi maggiori le sono arrivati nell'età matura: 2 David di Donatello, quattro Nastri d'Argento. Eppure avrebbe meritato molto prima se solo non avesse scelto di coltivare anche altri mondi, dalla letteratura (ha scritto un'autoironica biografia) alla vita privata, dall'impresa di famiglia alla politica con i Radicali prima e poi con Giuliano Ferrara nella lista Pro Life.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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