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Giovedì 26 Novembre 2020
LA STORIA
Nel primo tempo della sua vita giocava in difesa, stopper come si diceva una volta. Nel secondo tempo ricopre un ruolo molto più delicato, presidente di una società con settecento anni di storia. Giuliano Groppi, per i tifosi Pippo, 71 anni, ha alle spalle un ottimo passato da calciatore e alcune stagioni in serie A (Catanzaro e Brescia). «L'unico gol che ho segnato in A - ricorda - l'ho fatto all'Inter. In porta c'era il mio amico Ivano Bordon con cui avevo cominciato a giocare a Marghera». La carriera di Groppi si è conclusa a Mestre, come capitano della squadra arancione in serie C. Giocava allo stadio Baracca, a poche decine di metri dalla sede della Società dei 300 Campi. Una coincidenza che, a distanza di anni, si sarebbe rivelata una predestinazione. La Società dei 300 Campi è una delle più antiche istituzioni, a carattere benefico-solidale, italiane. Il primo documento ufficiale risale al 1326, l'atto con il quale il vescovo di Treviso, beato Ubaldo de Gabrielli, concedeva agli abitanti del Colmello l'uso di 300 campi, in cambio di un canone annuale. Tale concessione andava rinnovata ogni 29 anni. Ed è ancora in vigore, anche se nei secoli molte cose sono cambiate. Innanzitutto l'uso dei campi, all'epoca ricoperti di alberi ed ora di case.
LA DICERIA DELL'OROLOGIO
Ma lo spirito solidale, il senso di appartenenza ad una comunità che, come sottolinea don Gianni Antoniazzi il carismatico parroco dei Santi Gervasio e Protasio, «non si sente nè veneziana, né mestrina, ma di Carpenedo». Un campanilismo accentuato dal fatto che fino al 1926 Carpenedo era comune autonomo, finché con una disposizione governativa, durante il regime fascista, venne annesso al Comune di Venezia. «Lo sa che ancora oggi la gente di Carpenedo, in modo scherzoso, considera i mestrini ignoranti? - spiega sorridendo lo storico Roberto Pizziol - Sulla torre di Mestre, c'è un orologio: il quadrante che guarda verso piazza Ferretto, il cuore della città, ha i numeri arabi, il quadrante che si legge da Carpenedo ha i numeri romani, che secondo la vulgata popolare i mestrini non saprebbero leggere».
L'ATTO DEL VESCOVO
Una diceria che si tramanda da secoli. Alla 300 Campi il tempo, sotto certi aspetti, sembra non essere passato. L'orologio a numeri romani ha ancora un senso. Le regole che governano la Società sono praticamente le stesse imposte dal vescovo di Treviso, anche se oggi la dipendenza dalla chiesa è molto più blanda. Resta il ruolo di ispettore, riservato al parroco di Carpenedo, che deve apporre il suo visto ad ogni decisione del consiglio che amministra la Società. «L'iscrizione alla 300 Campi - spiega il presidente Groppi - è riservata a coloro che risiedono da almeno 12 anni all'interno del Colmello».
SALTO NEL TEMPO
E qui bisogna fare un balzo nei secoli. Il Colmello era il territorio abitato da uno stesso nucleo sociale, l'equivalente di un quartiere o di un piccolo comune. Quello di Carpenedo era molto vasto, occupando una buona fetta dell'attuale Mestre, arrivando fino ai confini con la provincia di Treviso. «Anche il numero dei colmellisti è rigorosamente bloccato - chiarisce ancora Groppi con l'aiuto di Pizziol - sono 427, quante erano le famiglie censite nel 1933, quando venne approvato l'ultimo statuto. A questi colmellisti, detti ordinari, vanno aggiunti altri 133 semplici soci, che potranno diventare ordinari, quando tra i 427 qualcuno rinuncerà. In tutto 560 soci. Condizione fondamentale è la residenza dentro i confini del Colmello, chi si trasferisce perde il diritto». Un meccanismo semplice, ma rigido, fondato su un diritto che si acquisisce con l'appartenenza. È la conditio sine qua non: sei del Colmello, puoi entrare. Ma cosa significa, in concreto essere colmellisti? «Rispetto allo spirito iniziale molte cose sono cambiate - spiega Groppi - rimane una forma di mutuo soccorso con una serie di agevolazioni. Prima di tutto le case, 120 appartamenti che affittiamo ai soci a canoni calmierati. Offriamo poi altri servizi gratuiti, come la compilazione delle denunce dei redditi, la spesa alimentare per chi ha più bisogno, gestiamo una biblioteca. C'è uno spirito di solidarietà molto forte». Con il tempo, nonostante la denominazione, i campi sono diventati meno di 300, perché alcuni terreni sono stati requisiti (vedi il tratto mestrino del Terraglio), altri sono stati ceduti.
BOSCHI
Inizialmente i profitti, che annualmente i colmellisti si dividono, venivano dallo sfruttamento dei due grandi boschi - del Palù e di Valdimare - che cingevano Mestre. Ora di quella selva è rimasto, difeso con i denti dagli ambientalisti, solo un piccolo boschetto. Gli introiti per la Società arrivano dai canoni d'affitto e dallo sfruttamento di 82 ettari di campagna. «Entrate sufficienti a far quadrare i conti - chiarisce Groppi - anche perché siamo tutti volontari senza compenso. Invece per i colmellisti, ogni anno c'è un piccolo dividendo». Una cifra poco più che simbolica, dai 100 ai 450 euro, su cui i colmellisti, in qualità di proprietari di una quota, devono pagare le tasse. Un mondo che profuma di antico, ma non di vecchio, quello della 300 Campi, però i consiglieri si pongono il problema del rinnovamento.
RINNOVARSI
Lo dicono l'avvocato Lorenzo Cecchinato e il dentista Mario Berengo: «Dobbiamo cercare di aprirci senza snaturare lo spirito della Società. Se ha resistito 700 anni, significa che l'impianto è solido. Prima di cambiare bisogna pensarci». Il traguardo prossimo è il 2026, quando verranno celebrati i 7 secoli di vita. «Ma in realtà la società è più vecchia - chiarisce Pizziol - per convenzione si è fissato il 1326, perché a quell'anno risale il primo documento scritto, ma la 300 Campi esisteva già prima». Resta da chiarire, come sia arrivato Groppi, uomo di calcio che, dopo aver smesso di giocare, per ben 32 anni ha fatto l'osservatore per il Milan dai tempi di Sacchi e Berlusconi. Tra le sue scoperte Toldo, Petagna, Hamsik e Cristante. «Confesso, l'approccio è stato casuale. Me ne ha parlato un amico, Michele Mirabella, il segretario attuale, e ho cominciato ad appassionarmi. Ora mi sento gratificato ad aiutare la gente del Colmello».
Vittorio Pierobon
vittorio.pierobon@libero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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