IL RITRATTO
Robertoooooooooo: e sembra di sentire ancora una volta l'eco dell'urlo

Venerdì 16 Aprile 2021
IL RITRATTO
Robertoooooooooo: e sembra di sentire ancora una volta l'eco dell'urlo di gioia di Sophia Loren, in quella notte degli Oscar, nella quale, come non mai, sulla figura di Benigni si concentrò il massimo entusiasmo, ma anche le perplessità non meno rilevanti, per una consacrazione dettata più dal sentimento (anche un po' facile) che dalla ragione, soprattutto cinematografica. Il Leone alla carriera a Roberto Benigni, annunciato ieri dalla Biennale, è in ogni caso una scelta decisamente pop. Anche un po' furba (non ha un significato negativo), ben consapevole di essere destinata a incontrare un'eco enorme, a cominciare dal rimbalzo della notizia mai così rumoroso. In questo è un premio molto pragmatico, proprio perché non è il riconoscimento a esaltare il destinatario, bensì il contrario.
SALTIMBANCO SALUTARE
Ci sono altri aspetti che danno come comprensibile questa attribuzione: intanto è un italiano e in questo tempo disgraziato rincorrere spostamenti da una nazione all'altra, da un continente all'altro resta un bell'azzardo, specie alla luce della continua illusione sui vaccini distribuiti a tutti entro l'estate, ogni giorno spezzata da notizie di estrema incertezza; ma soprattutto la presenza di un guitto, di un saltimbanco ingovernabile sul palco, prima ancora che attore, regista e sceneggiatore assicura un evento-fiume capace di strappare risate, divertimento, spensieratezza (certo non solo, ma si sa che andrà soprattutto così), pronte a scacciare almeno momentaneamente i lugubri pensieri che ci accompagnano ormai da oltre un anno. Insomma un'oasi, una parentesi che sarà, almeno da questo punto di vista, salutare. È anche una scelta che sembra voler codificare una sensibilità molto ampia da parte della Mostra, disponibile a passare in poco tempo dalla quasi sconosciuta (ma amatissima dai cinefili) Ann Hui, premiata lo scorso settembre, (oltre a una tradizione di Leoni alla carriera, cinematograficamente significativi, pur nella loro popolarità, tipo Jane Fonda e Robert Redford nel 2017), a Benigni, che è esattamente l'opposto, cioè estremamente famoso, ma certo assai meno considerevole per i cinefili. Ma la stragrande maggioranza degli spettatori lo ama e questo per Venezia e la sua Mostra è indubbiamente decisivo.
UN PEDIGREE NON BANALE
Che poi, a ben guardare, il pedigree di attore non è certo banale, avendo dato volto a personaggi in film di Bertolucci, Ferreri, Citti, Fellini, Blake Edwards, Allen, Garrone e ovviamente Jim Jarmusch, non solo per quel Daunbailò, in cui finito in carcere per errore in America, evade insieme a Tom Waits e John Lurie, in una fuga esilarante tra le paludi. Certo è un attore capace di modellarsi anche su piani più malinconici, come quello nel felliniano La voce della luna, assieme a Paolo Villaggio, o su personalità anticonvenzionali, come il maestro alternativo nel ferreriano Chiedo asilo; semmai a convincere meno è il regista, il quale attraversa momenti di esaltazione al botteghino, bagliori di gloria come accadde appunto con La vita è bella (tre Oscar: a lui come attore protagonista, al miglior film straniero e alla celeberrima colonna sonora di Piovani; Gran Premio a Cannes), momenti scanzonati (Il piccolo diavolo, Johnny Stecchino), altri più approssimativi (Il mostro), tonfi abbastanza evidenti (Pinocchio, La tigre e la neve), senza dimenticare l'accoppiata vincente con Massimo Troisi per Non ci resta che piangere.
DAL SURREALE AL MISTICO
Una carriera intensa tra teatro, televisione e cinema, fin dagli albori arboriani (L'altra domenica e il famoso monologo sul Giudizio Universale nel film Il Pap'occhio), quando una surreale irriverenza e una provocatoria, fluviale esuberanza hanno portato a personaggi come il proletario Cioni, a battute come Wojtylaccio, a irriverenti duetti con il pisello di Pippo Baudo e la patonza di Raffaella Carrà, sempre in bilico tra il greve e il goliardico, andata via via spegnendosi in un afflato ecumenico, vagamente mistico, tra i Dieci comandamenti e la lettura abbondante della dantesca Divina Commedia.
Precisa la motivazione del premio da parte del direttore della Mostra, Alberto Barbera: «Pochi artisti hanno saputo come lui fondere la sua comicità esplosiva, spesso accompagnata da una satira dissacrante, a mirabili doti d'interprete, nonché di avvincente e raffinato esegeta letterario. Inevitabilmente commosso l'attore-regista: «Il mio cuore è colmo di gioia e gratitudine. È un onore immenso ricevere un così alto riconoscimento verso il mio lavoro».
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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