IL RITRATTO
«Alle 3.30 circa, a Roma, ha cessato di battere il cuore di

Sabato 9 Novembre 2019
IL RITRATTO «Alle 3.30 circa, a Roma, ha cessato di battere il cuore di
IL RITRATTO
«Alle 3.30 circa, a Roma, ha cessato di battere il cuore di Fred Bongusto». In poche righe, un grande dolore, anche se non inaspettato. In quella indeterminatezza («alle 3.30 circa») e nell'orario notturno, c'è tutto il tenero mondo dell'uomo che aveva cantato meglio di chiunque altro l'Italia delle balere, delle rotonde sul mare e degli amori nati a Malaga.
Fred Bongusto, che all'anagrafe era Buongusto ma lui pensava che togliere una vocale facesse suonare meglio il nome, è stato lo spicchio più dolce degli anni Sessanta. In lui non c'erano bagliori di ribellione, canzoni del maggio o le spacconate di chi voleva vivere in corsia di sorpasso per arrivare prima al futuro. No, in lui c'erano i languori di chi voleva sognare, romanticamente, guancia a guancia; gli struggimenti di chi sente un disco che suona, vede gli amici ballare e lei è lontana.
I SOGNI
C'era bisogno anche di questo, in quel periodo che oggi sembra così lontano. Una parte degli adolescenti e degli artisti (dalla musica al cinema) sognava un domani migliore, un cammino di Rinascita dopo un decennio che era stato poco più di un'appendice alla Ricostruzione; ma c'era un'altra fetta di quella torta che chiedeva solamente un amore da tenere stretto, un lento da ballare, la voglia di credere che ci fosse qualcosa che non doveva finire, che sarebbe durata un tempo bello, tra i confini del sempre e del mai.
Pensate al testo di Balliamo, uno dei suoi grandi successi. Pensate alla trama. Lui che le dice: «Balliamo, è da tanto tempo che non lo facciamo», come se ballare fosse uguale a fare l'amore, e forse lo era, negli anni Sessanta. E poi: «Questa sera sono in vena di follie», e tu pensi a chissà che cosa, a quale programma azzardato, a che ipotesi di eccessi. Invece no. Nel verso successivo arriva la dolcezza di una spiegazione bellissima, nella sua ingenua semplicità: «Noi due stretti stretti come tanto tempo fa». Queste erano le follie, per Fred Bongusto: ballare stretti stretti. Se per altri una canzone era il grimaldello per far saltare il banco e salvare il mondo, Fred considerava la canzone «tre minuti per convincerti che è amore».
LE TRAME
Non erano solo le trame esili e sognanti a caratterizzare la sua produzione. Era anche la sua voce, il modo di porgere il brano. Fred Bongusto aveva ereditato la lezione dei crooner americani alla Frank Sinatra. Il tono era caldo, confidenziale, ammiccante ma mai eccessivo, mai volgare, ostentato, furbo. La sua voce era un invito galante, un biglietto da visita, un inchino d'altri tempi. Semplice a dirsi, difficile però non essere ripetitivo e banale. Poche le divagazioni, e sempre straordinariamente riuscite. Come Spaghetti a Detroit, la storia a colpi di swing di un uomo che a Detroit folleggiava con la sua Lola e che tornato in Italia si riduceva a «spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè», menù che, tra l'altro, la dieta salutista ha oggi ampiamente rivalutato. Nel caso di quel clamoroso successo del 1967, la voce di Fred Bongusto smetteva di essere suadente e, venata da saltelli jazz, si presentava filtrata come da un vecchio grammofono degli anni Venti. Deliziosa.
Infinita la lista dei successi: da Malaga, che Joao Gilberto definì «la canzone perfetta», a Doce doce (prima hit, cantata in napoletano, lui molisano doc di Campobasso), da Frida a Questo nostro grande amore, per tacere delle colonne sonore per Dino Risi, Alberto Lattuada e Salvatore Samperi (Malizia su tutte) e, ovviamente di Una rotonda sul mare. Sarà ricordato, come è giusto, a Sanremo, perché è stata una delle voci storiche della canzone italiana. Se n'è andato a 84 anni, dopo una lunga malattia, dopo essere stato colpito da sordità, la peggior vendetta possibile del destino, che tutto gli aveva dato e che gli aveva sottratto, negli ultimi anni, la possibilità di cantare. E di ascoltare quel disco che suona. Che suona così bene che sembra ieri, e invece era un po' più in là, erano gli anni Sessanta.
Massimo Cotto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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