IL RICORDO
Quale ricordo avrà attraversato gli occhi di Sergio mentre se

Martedì 3 Agosto 2021
IL RICORDO
Quale ricordo avrà attraversato gli occhi di Sergio mentre se ne andava? Quello di un taccuino fitto di appunti presi a matita tra Gemona e Osoppo nei giorni del terremoto che stravolse il Friuli? O di quella volta che da giovanissimo difensore del Palmanova, la squadra della sua città, aveva marcato a uomo in amichevole il più forte attaccante dell'Udinese, Selmosson, che chiamavano Raggio di Luna? Sergio Gervasutti, morto a 83 anni, era insieme l'inviato speciale del Gazzettino e il tifoso di calcio che aveva giocato da centromediano, un po' duro ma onesto. Ed è questa la definizione migliore per lui, nel pallone come nel giornalismo. Un cronista preciso e scrupoloso, che prendeva appunti su tutto quello che ascoltava e vedeva; che era sempre sul fatto, non aveva paura della fatica, le tasche piene di gettoni per il primo telefono pubblico sulla strada, le sigarette immancabili, un paio di penne nel taschino interno.
Dicono che il giornalismo era scritto nella sua carta d'identità: un po' perché il padre gli aveva fatto respirare da bambino l'aria di una piccola tipografia, inchiostro e piombo; molto perché la mamma gli aveva fatto fare indigestione di libri, compresi i romanzi di Liala. E dopo il servizio militare, come ufficiale negli Alpini della Julia, aveva cercato di entrare nel mondo dei giornali. Un'esperienza come corrispondente del Piccolo da Palmanova, tre lire a riga, poi la redazione del Gazzettino a Udine chiamato da Vittorino Meloni che per un trentennio avrebbe diretto il Messaggero Veneto.
GLI ESORDI
Nel Gazzettino Sergio Gervasutti compie la trafila, lo stile e la grinta gli fanno fare strada, la capacità di ascoltare gli altri e di trovare sempre un punto d'intesa lo portano a dirigere varie redazioni. Si fa notare nelle cronache sul calcio friulano e triestino, soprattutto nel ricordo del suo idolo che chiamava il gigante, Primo Carnera. Assume d'ufficio la difesa di una friulanità intesa quasi come nazione, una piccola patria. È tra i giornalisti che raccontano la tragedia del Vajont. Nella valle cancellata dalla furia dell'acqua e incrostata di un fango che nasconde i corpi, Gervasutti trova un quaderno di quarta elementare su un banco che l'onda ha schiacciato contro un muro. Riporta per i lettori la paginetta dell'ultimo tema: Le rondini se ne sono andate, non torneranno più sotto i tetti delle nostre case. È tra i cronisti dei giorni terribili del terremoto ed emergono ancora una volta le sue qualità di inviato speciale, oltre alla conoscenza di una terra e di un popolo. Tutte categorie che, quando vengono decise le priorità della ricostruzione, riassume: «Prima le fabbriche, poi le case, infine le chiese. Riecco il friulano, coerente con la sua scala di valori: il posto di lavoro, la sede degli affetti, il luogo della rispettosa riconoscenza». Da quel momento Sergio Gervasutti va in giro per l'Italia del terrorismo, segue le indagini per la strage di Piazza Fontana ed è forse il più ostinato cronista del processo di Catanzaro. A Roma per il delitto Moro, nei luoghi del Nordest dove a turno neofascisti e brigate rosse ammazzano con crudeltà. Fino alla cattura, a Padova, dei rapitori del generale americano Dozier. Sono gli Anni Ottanta, Gervasutti è ormai pronto per il salto professionale: in rapida successione dirige Il Giornale di Vicenza, è chiamato alla vicedirezione del Gazzettino prima con Selva poi con Lago. Ho imparato molto da lui, lavorandogli accanto, stemperava la tensione con una battuta, non trasmetteva mai ansia, aveva un modo speciale di afferrare il problema e trovare la soluzione. Credo non abbia mai litigato davvero con un collega, o forse solo con friulani come lui. Ridendo raccontava che «un friulano costruisce il fogolar, due friulani una casa e tre friulani litigano». E al Gazzettino almeno tre friulani c'erano sempre.
DIRETTORE E LIBRI
Nel 1987 va a dirigere la Provincia di Como e nel 1992 torna nel suo Friuli per assumere la direzione del Messaggero Veneto fino al 2000. Appoggia le innovazioni della tecnologia, ma non tradisce la sua Olivetti: non ha mai scritto un articolo al computer. Capace di mantenere per anni il dialogo con i suoi lettori, continuerà a curare la rubrica delle lettere anche dopo la pensione, distinguendosi per il buon senso e per una visione politica senza ideologie, per un'etica come sempre onesta e dura. E si dedicherà ai libri di argomento storico, a incominciare dal Giorno nero di Porzus, una pagina drammatica e oscura della Resistenza, raccontata in tempi in cui non era semplice affrontare certi temi. Dal libro è stato tratto il film di Martinelli. Ha scritto per la Biblioteca dell'Immagine Uccidete Mussolini e Perduti amori sul ventennio fascista; per la Canova Friulani, dedicato al suo popolo, e Alpini sempre: da alpino, diceva, non ci si dimette mai. E ricordava il padre che aveva fatto la guerra nei Balcani ed era stato prigioniero in Montenegro.
Dopo la morte nel 2012 della moglie Maria Dolores, gli ultimi anni sono stati difficili. Poi dal febbraio scorso una serie di problemi fisici che lo hanno indebolito e costretto all'immobilità. Ai figli Ario, giornalista del Gazzettino, Luca e Cecilia chiedeva ogni giorno i suoi vecchi cari giornali di carta.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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