Il processo al clan dei casalesi inciampa su un cappotto

Martedì 14 Dicembre 2021
ERACLEA
Le difese all'attacco. E di mezzo c'è un cappotto. Ieri in aula bunker a Mestre dove si celebra il processo contro il clan dei casalesi di Eraclea, ha tenuto banco il controinterrogatorio delle difese ad un Finanziere, Alessandro Di Paolo. Di Paolo nelle udienze precedenti aveva raccontato, sollecitato dalle domande dei pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo, di come Luciano Donadio, il capoclan dei casalesi, facesse il bello e il brutto tempo nelle filiali di Musile, Jesolo e San Donà del Monte dei Paschi. E in particolare di come Donadio fosse, secondo lui, favorito da uno dei direttori, Denis Poles, il quale si preoccupava di erogargli finanziamenti senza troppi problemi. In realtà la lunga processione di funzionari del Monte dei Paschi aveva messo in luce un funzionamento a dir poco garibaldino della banca, ma nel caso di Poles l'occhio di riguardo nei confronti di Donadio ieri si è capito che si spiegava con un cappotto. Che in questo caso non è un capo di abbigliamento, ma la copertura termica di una casa. Secondo la pubblica accusa il cappotto è stato realizzato nell'abitazione di Denis Poles. Secondo l'avv. Antonio Forza, che difende Poles, invece quel cappotto è stato fatto sì sulla casa di un direttore di banca di Mps, ma non è Poles. E così il cappotto ballerino diventa uno dei pochi appigli che le difese cercano di utilizzare al meglio per mettere in dubbio le indagini della Guardia di Finanza di Trieste, che ha lavorato molto sulle intercettazioni e sulle carte e poco sul campo. Tant'è che quando l'avv. Forza chiede da dove nasca questa storia del cappotto, Alessandro Di Paolo cita una intercettazione in cui Donadio parla del cappotto, eseguito da una sua ditta, a Musile di Piave, nell'abitazione di un direttore di banca che il giorno prima gli aveva erogato 15 mila euro. Secondo Di Paolo si tratta di Poles. Lei sa dove abita Denis Poles? Le risulta che sia a Mussetta? Le risulta che Mussetta sia in Comune di San Donà? Le risulta che San Donà non sia Musile, dove effettivamente quel cappotto è stato realizzato? L'aula bunker risuona delle domande retoriche dell'avv. Forza che mette in croce Di Paolo anche sui mancati accertamenti sui conti correnti di Poles mai controllati sulle schede interne alla banca mai acquisite sulla richiesta alla Centrale rischi della Banca d'Italia a proposito delle ditte di Luciano Donadio mai fatta. La difesa di Poles segna un punto a favore anche quando rileva che non era complicato controllare chi fosse questo direttore di Mps che abita a Musile - ed effettivamente uno ce n'è e non è Poles - che il giorno precedente all'intercettazione aveva erogato 15 mila euro a Donadio. Non è un cappotto della difesa, tanto per restare in tema, ma non è cosa da poco perché è vero che sugli imputati chiave come Luciano Donadio e gli altri casalesi non ci sono molti dubbi, ma è altrettanto vero che sono le posizioni cosiddette minori che determinano questo processo che si gioca tutto sul reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Un reato che sta in piedi solo grazie alle complicità di direttori di banca e commercialisti, amministratori locali e avvocati, notai e semplici impiegati. E dunque aver messo in dubbio l'operato della Finanza su Poles è un punto a favore delle difese. E, tra l'altro, in una inchiesta durata vent'anni, era legittimo aspettarsi che le prove portate in aula fossero granitiche per tutti gli imputati. In chiusura di udienza commemorata la scomparsa del pm Gabriele Ferrari.
Maurizio Dianese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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