Il poeta Adonis in fornace: «I miei versi incisi nel vetro»

Domenica 13 Gennaio 2019
Il poeta Adonis in fornace: «I miei versi incisi nel vetro»
L'INTERVISTA
Poesia, arte e maestria vetraria di Murano, fuse in un interessante progetto che ha coinvolto una delle massime voci poetiche contemporanee, quella del siriano Adonis, tra i più celebrati poeti del mondo arabo. Intellettuale a tutto tondo, nel rinnovare temi e stili della poesia orientale ha incluso la profonda conoscenza della tradizione, gettando un fondamentale ponte tra culture. Adonis, al secolo Ali Ahmad Saiid Esber, nato in un villaggio siriano nel 1930, pagò l'impegno e il coraggio con la prigione e l'esilio. L'invito a collaborare al progetto artistico in fieri Poetry: the Voice of a Glass Garden di Marco Nereo Rotelli, promosso dal lagunare hotel Ca' Sagredo che ha coinvolto pure altri noti nomi, lo ha condotto nell'attiva fornace di Massimiliano Schiavon, per contribuire alla creazione di una scultura. Nello specifico, un papiro di vetro con l'incisione di suoi versi.
Adonis, che versi ha scelto per la sua opera, nella quale il valore del testo si fonde con la bellezza formale della lingua araba?
«Si può pensare Venezia attraverso l'acqua. Riterrei però significativo un mio verso che Marco Nereo Rotelli ha dipinto su una delle sue porte d'oro esposta a Ca' Sagredo: L'acqua di Venezia ha più regole, ma la sua idea è come trasgredirle».
Come ha approcciato l'elemento del vetro e si può parlare di poesia del vetro?
«Tale progetto mi ha permesso di scoprire un tipo particolare di creazione, non avevo mai visitato una fornace muranese; preferisco infatti parlare di creazione e, ancor meglio, di creazione di un'opera collettiva piuttosto che di fabbricazione del vetro; ho visto nascere gli oggetti da un autentico lavoro di squadra, i cui membri non hanno quasi bisogno di parlarsi per capire cosa fare. Pertanto, sì, parlerei di poetica del vetro, di un'arte volta a creare la poesia del vetro, che segue dei metodi precisi».
Cosa l'ha colpita dei maestri vetrai?
«Non tanto l'abilità delle loro mani ma l'importanza del pensiero, dell'occhio e dei movimenti impegnati nella creazione, mi affascina sapere che questi metodi discendono dalla pratica dei fenici e poi dei romani; nelle loro società l'oggetto veniva allo stesso tempo utilizzato e anche apprezzato per la sua bellezza, esisteva un'unità profonda fra la vita quotidiana e l'arte. Ai nostri giorni, queste due dimensioni dell'umanità sono distanti».
Di Venezia ebbe modo di sottolineare i profondi legami storici con Damasco: si possono considerare due luoghi simbolo di multiculturalità?
«Mi piace spesso ricordare che il primo ambasciatore della Repubblica veneziana aveva sede ad Aleppo e che, per molti secoli, Italia e Siria sono state unite culturalmente; sulle due sponde del Mediterraneo troviamo un triangolo essenziale per lo sviluppo di questa parte di mondo, la Siria, la Grecia e Roma. Poiché l'identità di un popolo non è la sua politica, ma la creatività e cultura, aggiungerei che importantissime sono state le affinità fra Roma e la parte orientale del Mediterraneo, dall'Egitto passando per la Siria, il Libano e la Grecia. Quanto alla multiculturalità, Damasco è sempre stata una città aperta non solo alle tre religioni monoteiste e ad altre ma proprio a etnie differenti, e quindi la Siria è un Paese predisposto ad essere pluralista, umanamente e culturalmente. Mi piace pensare che per Venezia valgano gli stessi valori».
Le sue posizioni verso ogni forma radicalità religiosa che sfocia nella violenza sono note: la poesia e la militanza civile in che forma possono contribuire a fermare questa violenza?
«Il mondo è molto cambiato ed è necessario per noi ripensare a tutto, sempre partendo dal principio che ogni attività umana debba far progredire l'uomo: ad esempio la politica non deve asservire gli uomini, ma essere al loro servizio, e questo vale anche per la religione che deve aiutarci a progredire, non servirsi degli uomini per i suoi fini. Il centro del mondo è l'uomo, se si detesta l'umanità, l'universo intero diventerà detestabile, se perdiamo l'uomo, perdiamo tutto, il cosmo, la terra, che dobbiamo leggere come sede dell'uomo. La poesia crea immagini inedite dell'uomo e del mondo che lo circonda, indica nuovi rapporti fra cose e parole, fra cose e cose, fra parole e parole, crea nuovi rapporti per creare un mondo più bello e più unico».
Riccardo Petito
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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