IL PERSONAGGIO
Un mese fa era ancora in carcere. «Mi ha fatto bene. Da una

Giovedì 27 Febbraio 2020
IL PERSONAGGIO
Un mese fa era ancora in carcere. «Mi ha fatto bene. Da una brutta vicenda, sta venendo fuori una bella storia. Ho capito che posso essere utile agli altri». Mauro Lucchetti di professione fa il mascarer, realizza maschere in cartapesta. È un artigiano veneziano, ma è molto più giusto dire artista, perché dipinge e ha nel suo curriculum alcune mostre con un certo successo. La sua carriera è stata macchiata da qualche incidente di percorso, che lui non nasconde. «Droga. Ci sono cascato più volte. Poi arriva un momento che la giustizia ti presenta il conto. Ora ho pagato tutto, ho saldato il mio debito e posso ricominciare con nuovo entusiasmo».
IL DOCENTE
Non dice di aver chiuso con la droga, il fumo è una componente della sua creatività artistica. «Parliamo di marijuana. Io forse vivo in un altro mondo, ma credo che nella vita ci sia ben di peggio». Ognuno è padrone delle sue scelte. In carcere Mauro è diventato docente, ha insegnato agli altri detenuti a realizzare le maschere e ora a Santa Maria Maggiore c'è un gruppetto di detenuti-artigiani che ci sa fare davvero. Il logo dice tutto: una maschera che tenta di aprire le sbarre e la scritta, Bauta libera. «Tutto è nato un po' per caso. Frequentavo le lezioni del professor Fabrizio Longo che insegna matematica e fisica ai detenuti. Diciamo la verità molti frequentano i corsi perché è un modo per far passare il tempo e lasciare per un po' la cella. Il prof è uno che ci sa fare anche a livello psicologico. Ha capito che io potevo aiutarlo a creare nuovi interessi per gli ospiti».
IL PROGETTO
Lucchetti, con il consenso della direzione carceraria, non facile da ottenere, ha iniziato ad insegnare, assieme al professor Longo, la tecnica di realizzazione di un oggetto in cartapesta. «Siamo partiti in due o tre allievi, poi un po' alla volta, siamo diventati più di quindici, di tutte le etnie. Pochi sapevano parlare italiano. Tutti si sono appassionati. È un'attività manuale che aiuta a rilassarsi. Chi non l'ha provato non può capire quanto il lavoro, per chi è in carcere, sia un toccasana. Quando stai in cella per venti ore, ti sembra di impazzire, non sai cosa fare, a cosa pesare. Il lavoro ti distrae, ti fa sentire ancora utile». Il mascarer sembra davvero provato dai 18 mesi a Santa Maria Maggiore, che hanno lasciato un segno, ma soprattutto, dice lui, gli hanno aperto gli occhi. «Se non sei un delinquente il carcere è tremendo. Io non mi considero un delinquente, anche se riconosco di aver commesso sbagli. Errori che si pagano. Lo vorrei dire ai giovani: bullismo, spaccio, furtarelli, sono scelte di vita sbagliate che ti segnano. I reati restano, le condanne prima o poi si scontano. La droga è una brutta storia, lo dico io che la conosco. Oggi, poi, ci sono sul mercato porcherie che costano pochissimo. Attenti, ragazzi».
LA RIFLESSIONE
Un buonismo, per uno che è appena uscito dal carcere, che può sorprendere, ma Lucchetti non si vergogna. «Riconoscere gli sbagli non deve sembrare una debolezza. Io non ho paura di raccontare che sono stato in carcere. Gli amici lo sanno e non mi hanno abbandonato. Ora che sono fuori voglio fare qualcosa per chi è dentro. Le maschere possono essere una grande opportunità di reinserimento. A Venezia, se sai realizzare maschere non muori di fame. C'è un grande mercato». Lucchetti vorrebbe raggiungere un accordo con il carcere e acquistare dalla cooperativa Bauta libera il prodotto al grezzo: «Loro sanno fare il bianco, cioè la base in cartapesta su cui, poi, vanno dati i colori. Un po' come la tela per un pittore. Potrebbero vendere i bianchi, prodotti in carcere, sarebbe una bella possibilità di fare qualche soldo. Pochi, ma puliti».
L'APPELLO
L'artigiano non vuole buttare al vento il lavoro fatto in carcere e chiede il sostegno delle autorità penitenziarie. «Appena entri ti danno un libretto con informazioni ed istruzioni per la vita dietro le sbarre. C'è scritto che il carcere ha un valore rieducativo. Credo che il lavoro onesto sia il massimo in questo senso. Purtroppo dentro ci sono poche possibilità lavorative e molti ostacoli, dovuti a norme di sicurezza. Per esempio, nel nostro laboratorio c'è solo un taglierino che viene dato in consegna ad una persona fidata. Abbiamo avuto grossi problemi per introdurre le colle, perché potenzialmente possono essere delle droghe». Il mascarer parla con entusiasmo dei suoi progetti. Nel suo laboratorio di Mestre, in zona Piraghetto, si respira un'atmosfera bohémien: maschere, quadri, tele e tubetti di colore un po' ovunque. Opere forti, come Jesus homeless, un Gesù barbone, che non vuole affatto essere blasfemo. «Io non sono credente, ma ho profondo rispetto per la fede. Quando a Natale il patriarca è venuto a celebrare la messa in carcere io gli ho regalato una maschera che rappresenta il diavolo. I miei superiori e anche il cappellano mi dicevano che non dovevo farlo per rispetto al patriarca. Invece monsignor Moraglia ha apprezzato, ha voluto visitare il nostro laboratorio e dopo qualche giorno ci ha fatto avere mille euro per finanziare la nostra attività. È una grande persona: mi ha detto di andare a trovarlo una volta uscito dal carcere. E io lo farò di sicuro».
IL DIAVOLO
«Per la cronaca - aggiunge sorridendo - dopo che ho regalato la maschera al patriarca tutti hanno voluto comprarle: dalla direttrice alle guardie». Alle pareti oltre ai quadri di Lucchetti ci sono alcune opere realizzate da Guerrino Boatto, grandissimo esponente dell'iperrealismo: «Abitava a poche decine di metri dal mio laboratorio. Per me era come Maradona, un idolo. A Mestre era semi sconosciuto, all'estero famosissimo. I suoi quadri erano identici a fotografie, una tecnica fantastica. Se n'é andato in solitudine e credo quasi in miseria. Mi ha lasciato i suoi disegni. Vorrei tanto fare un mostra per dargli, almeno da morto, quello che meritava». Mauro Lucchetti è un vulcano di progetti. La ritrovata libertà è sicuramente una molla di entusiasmo. A giorni uscirà anche un suo fumetto «Il profumo di Venezia. Ma il vero sogno resta poter lavorare con i suoi amici di Santa Maria Maggiore: «Ho conosciuto persone dai grandi valori umani, altri con doti artistiche notevoli. Persone che potrebbero avere un futuro da artigiani o artisti. Intanto, finché sono in detenzione, potrebbero collaborare con me a realizzare maschere made in Venice autentiche. Oggi sul mercato c'è tanta merce contraffatta. Ma una maschera realizzata in carcere è sicuramente made in Venice». Come dire: garantiscono i detenuti.
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it)
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