IL PERSONAGGIO
In mezzo al campo o tra le pagine, Alessandro imbastisce trame.

Giovedì 25 Febbraio 2021
IL PERSONAGGIO
In mezzo al campo o tra le pagine, Alessandro imbastisce trame. Alessandro, da vent'anni, è quel Gazzi scritto sulle spalle delle maglie di Bari, Reggina, Torino Da qualche mese però Gazzi è scritto anche sulla copertina di un libro. Bellunese classe 1983, Alessandro Gazzi è un giocatore di calcio professionista. Con il fisico asciutto e quei spettinata rossa grazie a cui era impossibile non vederlo tra i 22 in campo, a 13 anni Ale è partito da Santa Giustina e palla al piede e si è fatto tutta la penisola: Montebelluna, Treviso, Roma, Viterbo, Bari, Reggio Calabria, Siena, Torino, Palermo, Alessandria. Il rosso di Santa è uno di quei mediani silenziosi e essenziali su cui appoggiare le squadre. Su di lui, 39 presenze una in fila all'altra, Antonio Conte ha poggiato il Bari delle meraviglie 2008/2009, quello del ritorno in serie A dopo otto anni di purgatorio. Trentanove di oltre cinquecento presenze nel calcio che conta. Eppure lui, Ale, di quelle 500 partite, ha scelto di raccontarne dieci minuti appena. Così almeno si chiama il racconto che lo ha portato nelle librerie: Dieci minuti, pubblicato nella raccolta Per rabbia o per amore, edizioni 66thand2nd.
BLOG DEL PALLONE
Dal campetto del paesello al Tenni, al San Nicola, all'Olimpico, alla libreria. Come si fa? «Ascoltando un consiglio», racconta lui, essenziale anche nelle parole. «Ero a Torino, stavo lavorando sull'aspetto mentale del mio mestiere con una psicologa; mi disse di provare a buttare giù i miei pensieri, a scriverli». È nato così il blog www.alessandrogazzi.it? «Il blog è nato nel 2016, quando sono passato al Palermo. È stata proprio la psicologa, leggendo quel che scrivevo, a dirmi di insistere, che poteva essere la strada giusta, che c'era qualcosa da coltivare». Di cosa scrive un calciatore? «Io di quel che conosco, di quel che vivo: scrivo di calcio, il mio. Sono uno scrittore normalissimo, non posso che parlare di ciò che vivo da vent'anni, in campo». Dal blog al libro il passaggio quale è stato? «Un amico mi disse che aveva letto qualcosa riguardo un concorso per storie di sport; ho scritto il mio racconto durante il ritiro estivo dello scorso anno, poi l'ho spedito, e ho vinto. E a settembre è uscito il libro». Quali dieci minuti racconti? «Dieci minuti di una normalissima partita di calcio, una partita qualsiasi, niente di leggendario, dieci minuti come altri. Era Bari-Salernitana del 2009; solo con il senno di poi diventò una partita importante: con quella vittoria iniziammo la cavalcata che ci riportò in serie A. Nel racconto rivivo quei minuti visti dalla mia prospettiva, dalla mia posizione in campo. Non serve raccontare una finale di Champions, il mio lavoro è il mio lavoro sempre, ogni 90', come ogni atleta. Nel racconto e in quel che scrivo trovate le sensazioni e le emozioni di un lavoratore del calcio». Dove nasce questa attitudine alla scrittura? «Ho sempre letto molto. Soprattutto riviste musicali e di cinema, e poi quotidiani, libri. Il mio vocabolario viene da lì».
FUORI DAL CAMPO
E l'Università? «Quando stavo a Bari ero iscritto al Dams, proprio per la passione per la musica e il cinema. Adoro David Lynch e per caricarmi ascolto la ambient. Ma dovetti mollare perché non riuscivo a starci dietro, impossibile andare a dare gli esami a Roma. E poi è arrivata la famiglia, le mie figlie Camilla, Nicole e Emily. Ora però mi sono iscritto di nuovo, a Scienze motorie. Per cultura personale e per mettere da parte le competenze che potrebbero aiutarmi in una futura esperienza lavorativa, che immagino sempre nel calcio, anche se non più in campo». A 38 anni inizi a intravedere il chiodo per gli scarpini? «Non ci penso. A giugno mi scade il contratto e capirò se ci saranno opportunità, ma ancor prima stimoli e motivazioni. Deciderò anno dopo anno, ascoltandomi e percependo quel che potrebbe succedere».
ALLENATORI FAMOSI
Tra i tuoi allenatori Gianpiero Ventura e Antonio Conte, l'uomo del disastro azzurro e il predestinato. «Ventura ebbe la sfortuna di arrivare all'apice di una storia già in discesa, ormai finita. E finì in quel modo; ci sentimmo dopo un po', ma senza parlarne. Conte invece non l'ho più sentito, difficile riuscirci (sorride, ndr); era ambiziosissimo e passo dopo passo, non senza ostacoli e fatica, è arrivato al top». Ora l'Alessandria, ma una romantica fine carriera a casa, a Belluno? «A Alessandria sto bene, non mi sarei mai aspettato di rimanere così a lungo; quest'anno vogliamo conquistare la B, che qui manca da mezzo secolo. La fine a Belluno? Nemo profeta in patria, e poi casa è Santa Giustina (sorride di nuovo, ndr). Ogni città in cui ho vissuto, dalla meravigliosa Siena alla bellissima Torino, mi ha lasciato qualcosa grazie alla sua gente, ma casa è casa. È ricordi meravigliosi, è quell'aria lì». E i tifosi, da nord a sud? «A Bari era un qualcosa di incredibile, i 50 mila del San Nicola rimangono dentro. Io non sono uno che bacia la maglia, ma dò sempre il massimo per onorarla. E sono felice di essere stato apprezzato ovunque».
LAVORO & PASSIONE
Il 2008/2009 di Dieci minuti è anche la stagione della squalifica per il calcioscommesse. «Potremmo parlarne per mesi, ma per me è passato. Ho accettato tutto, benché sia stato difficile da sopportare. Io ho cercato di stare sempre al mondo come si deve, poi ogni tanto arrivano cose più grandi di te, contro cui puoi poco, o nulla. Fine». Quello è il passato; nel futuro potrebbe esserci proprio la scrittura? «No, il mio lavoro è il calcio. Scrivere è una passione, un hobby, e soprattutto un momento di divertimento e rilassatezza. Scrivo quando posso e voglio, non perché devo». Un libro di solito si dedica. A chi? «Alle persone più importanti. Quindi a papà Francesco e a mamma Dolores, per tutti i sacrifici che hanno fatto fino al mio primo contratto; e poi a Deborah. Essere moglie di un calciatore non è facile. Io, tornando a casa, so che c'è lei. E mi basta».
Alessandro De Bon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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