IL PERSONAGGIO
«Ho ammirato molto la sua idea, poetica originale come quella

Mercoledì 11 Settembre 2019
IL PERSONAGGIO
«Ho ammirato molto la sua idea, poetica originale come quella di Lucio Fontana, non c'è nessuno che non l'abbia pensato quel gesto di cancellare, ma lui per primo lo ha realizzato. Da qui il desiderio di fare una grande mostra che sarà piena di sorprese. Credo ci sia stata l'influenza del curatore Germano Celant ma a lui si deve l'idea di cancellare tutto il testo Moby Dick di Melville (1500 metri quadrati di pareti ndr). Pasquale Gagliardi, segretario generale della fondazione Giorgio Cini non nasconde la sua contentezza quando parla di Emilio Isgrò e della mostra che si apre il 14 settembre sull'Isola di San Giorgio: «Il suo messaggio di modernità è incredibile. Non saprei dire se il suo lavoro di cancellazione sia arte, arte concettuale o letteratura. Certo lui è letterato e anche grande poeta, drammaturgo, romanziere».
Una premessa da amico che non dispiace a Emilio Isgrò, occhi chiarissimi che parla col Gazzettino (giornale per il quale ha lavorato per otto anni) di questa sua mostra (fino al 24 novembre) curata da Germano Celant, uno che ascolta molto l'artista. «Una mostra - dice Isgrò - con un visione internazionale molto forte in una città alla quale voglio bene. Sto aspettando l'arrivo della mia opera Cristo cancellatore installazione di 38 volumi che viaggia con accompagnatrice dal Centro Pompidou dove è opera permanente». Ospitato nei più grandi museo del mondo, alcune Biennali, da decenni un punto di riferimento dell'arte ecco in sintesi le idee e le visioni del mondo dell'artista Isgrò: un discorso sull'arte, la vita, le debolezze, i sogni. Suoi, ma anche di tutti noi.
LA CANCELLAZIONE
«La prima pop art la incontrai, da inviato del Gazzettino, negli Usa e mi domandai come potesse sopravvivere l'arte europea all'urto di un'esperienza così potente. Posi così il dubbio che nemmeno la parola potesse sopravvivere, non solo l'immagine; e in qualche modo parola e immagine dovevano essere riconsiderati. Così svuotai l'immagine: per esempio, in una mia opera del 1965 Jaqueline su un campo monocromo c'è una freccia. Sotto scrissi: Jaqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente. Ma lei, Jaqueline non c'è: pensavo che ciò che non vedi lo puoi immaginare. Era un modo per dare parola ad un'immagine che non parlava più artisticamente e metaforicamente. Avevo poco più di vent'anni. Reazioni? Mi sono trovato davanti ambienti malevoli e altri benevoli».
ARTE E SCONFITTE
«Ma allora a noi artisti, cosiddetti d'avanguardia, non piaceva vincere ad ogni costo. Era logico anche perdere clamorosamente: la sconfitta era un modo di essere al mondo con esperienze diverse. Per questo il mio lavoro è di attualità: i giovani non capiscono che un'apparente sconfitta diventa una reale vittoria se si sa aspettare».
L'ARTE NON E' REALTÀ
«Oggi si va alla Biennale (dove ho esposto parecchie volte) e si scambia l'arte per realtà. È pericolosissimo perché poi ci troviamo una classe di politici che agiscono artisticamente. Questo che cosa significa? Ho voluto cancellare su un'immagine preesistente proprio per creare distacco tra arte e realtà. Spiego: un politico deve avere una visione immaginosa del vivere, ma poi usare intelligenza. Per questo l'artista a volte è più sensibile del politico».
LA DOMANDA DI PEGGY
«Quando ero giovane polemizzavo con altre persone che pensavano in modo differente. Ma si stava in un mondo di persone rispettabile. Quando andai a trovare Peggy Guggenheim lei mi domandò: mi hanno detto Santomaso e Barozzi che fa cancellature: cosa sono? Sorvolai sul mio lavoro; e pur sapendo che era donna di sensibilità avanzata ebbi pudore di dirle che cosa fossero i miei lavori».
ÉLITE E POPULISMI
«Lavorando da artista esercitavo il senso di responsabilità senza scuotermi troppo: ad un certo punto anche chi era contro l'avanguardia non era contro di me. Ma occorre dire che non credo in un'arte populista. L'arte è sempre qualcosa che seleziona duramente, è sempre élite. Ma non deve essere preclusa a nessuno bensì aperta a tutti e così dà frutti a tutta la società».
PICASSO E I BIMBI
«Sì. Vero che Picasso disse una volta: a 18 anni dipingevo come Raffaello, ho impiegato una vita dipingere come un bimbo». Un giovane artista ci tiene a dimostrare che ha anche capacità intellettuali e pensa ad arte concettuale, anche perché l'artista trovava una specie di gratificazione nel non lasciare le cose come le aveva trovate. L'ideale per l'artista è procedere dal buio della propria giovinezza alla luce della propria maturità».
SORPRENDIAMOCI
«Un guaio del nostro paese è che non ci sorprendiamo davanti a niente. È chiaro nell'arte non sempre vedi cose sorprendenti: ma se io oggi mi sono liberato da ceppi e remore (l'artista è sempre insicuro) è per mostrare un momento magico, come quello della mostra alla Cini».
SICILIANO O VENEZIANO?
«Sono tornato ad innamorarmi di Venezia e non so più se sono siciliano o veneziano. Di Venezia ho una nostalgia pazzesca: sono cresciuto qui, andavo tutte le sere con Mario Messinis (il critico musicale del Gazzettino ndr) alla Fenice. Mi formavo alla grande fucina che era la Venezia di quegli anni: incontravo Berio, Maderna, Cage e la grande cultura internazionale. È chiaro che uno che stava in quel clima è come fosse vissuto a New York».
CANCELLANDO MOBY DICK
«La mostra alla Cini è come un marsupio, mostra canguro, dove alla pareti c'è spazio ricoperto da cancellazione di 1500 metri quadri del testo di Moby Dick e un'antologica delle mie opere. Il lavoro di Celant consentirà alla gente di entrare nel ventre dell'inconscio collettivo della società globale. La balena di Melville alla quale dà la caccia Achab è questo. Nella cancellazione la parola diventa immagine di se stessa e immagine assume la flessibilità della parola. Sentivo già negli anni '60 l'impotenza della parola di comunicare realmente ma capivo anche che l'immagine abbandonata rischiata di cancellare pensiero umano: se non pensiamo non creiamo».
MANCA IL MAPPAMONDO
«Per questa mostra avevo pensato ad un enorme mappamondo gonfiabile da sistemare in piazza San Marco. Problemi di sicurezza, ha spiegato la Sovrintendenza e non si può. Avevo pensato di spostarlo nel chiostro della Cini, ma anche qui difficoltà. Era un mappamondo di tela speciale, gonfiabile. Avevo cancellato tutti i nomi delle città, restava solo quello di Venezia, a dimostrazione della sua potente forza culturale ed evocatrice Pensavo di regalarlo alla città. Ma so che Gagliardi non ha smesso quel progetto». Ma davvero Venezia meriterebbe un mondo dove nessuno, nemmeno Isgrò possa cancellarla?
Adriano Favaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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