IL PERSONAGGIO
Cos'è la fedeltà ai propri ideali? È opportuno

Giovedì 27 Giugno 2019
IL PERSONAGGIO
Cos'è la fedeltà ai propri ideali? È opportuno andare contro tutto e tutti per preservarla? Talvolta l'esempio di un familiare ti indica la via, dicendoti che a certi principi, valori non potrai mai derogare.
Quante volte Gianmaria Donà dalle Rose aveva ascoltato suo padre Ernesto raccontare la storia di Leonardo Donà, novantesimo doge di Venezia, che per preservare la Serenissima, non si piegò mai davanti al Papato. E Gianmaria Donà, presidente della International Film and Video Federation, ha dedicato a suo padre il libro: L'antipapa veneziano. Vita del doge Leonardo Donà (1536-1612) (Giunti, pagg. 183, euro 20).
Le rose nello stemma dei Donà simboleggiano un'onorificenza papale, ma si trasformarono in autentiche spine nel fianco di papa Paolo V, ben assestate dal doge Leonardo. E mica un papa qualsiasi, ma il colto, potentissimo e spietato Camillo Borghese, ex segretario dell'Inquisizione romana, che aveva perseguitato come eretici: Tommaso Campanella, Cesare Cremonini, Giordano Bruno, Marco Antonio de Dominis, Paolo Sarpi, Galileo Galilei. Avrebbe voluto gettare sul rogo anche Leonardo Donà, ma questi fu più astuto di lui e vinse la partita, salvando Venezia, il suo ideale di governo libero, laico e cosmopolita.
LA VITA
Correva l'anno 1606 quando Leonardo, dopo una vita dedicata al bene della Repubblica, veniva eletto doge: aveva settant'anni. Ereditava anche l'Interdetto scagliato dal pontefice qualche anno prima, oltre ai conti in disordine e a nemici lungo i confini di terra e di mare. Mise subito termine agli sprechi e ai baccanali, tanto cari al suo predecessore Grimani. Nonostante l'età, Leonardo faceva parte della fazione dei giovani che si ispirava ai valori della Repubblica quattrocentesca e osteggiava i vecchi, i quali conducevano una vita dissoluta tra cene, cortigiane, lussi e sprechi.
La Serenissima come potenza navale si avviava verso la decadenza, a causa della scoperta del Nuovo Mondo, ma la vittoria schiacciante di Lepanto sui turchi nel 1571 le aveva dato una sferzata di orgoglio e vitalità per gli anni a venire.
L'ARTE
E l'arte era ancora fiorente grazie al Palladio, al Veronese e a Tiziano. Tra il XVI e il XVII secolo Venezia cambiò il mondo con l'invenzione del libro moderno, della moda, dell'erotismo. Un erotismo quello offerto dalle cortigiane veneziane che si nutriva di cultura e si abbigliava di seta. Arrivavano da tutta Europa uomini disposti a pagare anche cinquanta scudi la cortigiana Veronica Franco, che aveva intrattenuto una notte il re di Francia Enrico III con dei sonetti vergati in suo onore. Ma Leonardo tirava dritto, si mormorava avesse fatto voto di castità da giovane, in verità era sposato con Venezia e doveva liberarla dall'Interdetto.
LA CONDANNA
Incaricò Paolo Sarpi di redigere un documento che dimostrasse come l'Interdetto fosse un atto privo di valore. E minacciò di esilio i membri del clero che si fossero dimostrati sleali verso la Repubblica. I gesuiti furono espulsi a forza tra la felicità del popolo che gridava: «Andè in malora». Davanti alla casa di un prete che non voleva celebrare la messa, fu issata una forca poiché «lo Spirito Santo aveva ispirato il governo ad impiccare chi si fosse sottratto all'ordinanza». Quasi tutto il clero si schierò con il doge. Un anno dopo Sarpi veniva pugnalato da cinque sicari al volto e al collo. Ma riuscì a salvarsi. Donà fronteggiò Spagna ed Austria. La prima spadroneggiava con i suoi sicari e le sue spie al servizio del Papato; la seconda voleva il dominio dell'Adriatico e si serviva dei pirati slavi uscocchi per attaccare le galee veneziane o quelle dei Paesi che commerciavano con Venezia. Il doge trovò soluzioni diplomatiche. Gli uscocchi vennero sistemati lontano dalla costa adriatica. Il re di Francia Enrico IV, che precedentemente la Serenissima aveva sostenuto, mediò la revoca dell'Interdetto e di fatto il governo veneziano non cedette né sulle tasse che pretendeva dalla Chiesa romana né sul divieto di costruire altri edifici religiosi né sul deferire i marrani al giudizio dell'Inquisizione.
I PENSATORI
A Venezia Paolo Sarpi era il fulcro di pensatori anticonformisti legati alla Riforma che negavano la superiorità del papa sul Concilio, denunciavano il potere temporale della Chiesa, la mondanizzazione del clero e la sua avidità materiale.
Se per il papa Paolo V Venezia era un covo di protestanti, eretici ed ebrei, «Leonardo non poté mai concepire per la sua patria una fede che non fosse il cattolicesimo». Morigerato, religioso, frugale sin da giovane, il doge tuttavia non transigeva sull'indipendenza di pensiero e sulla laicità delle istituzioni. Morirà a 76 anni, nel 1612, a causa di un colpo apoplettico, stremato dagli aspri scontri con il Vaticano per mantenere l'indipendenza di Venezia.
Quest'uomo colto e liberale ci ha lasciato una lezione di vita integerrima e non disposta ai compromessi perché, come scrive Gianmaria Donà dalle Rose: «Dalla libertà deriva la grandezza stessa di una civiltà. E Venezia seppe coltivare bellezza e conoscenza».
Elisabetta de Dominis
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