Il Peppone della Lega governa col nemico

Lunedì 15 Luglio 2019
L'INTERVISTA
Anche più in là di Don Camillo e Peppone: ha osato chiamare un assessore del Pd a far parte di una giunta della Lega! E per di più in una delle città dove la Lega nel Veneto è diventata adulta. Toni Miatto ha esordito da sindaco di Vittorio Veneto proponendo Antonella Ulliana come assessore alla Cultura, lo stesso incarico che ricopriva nella giunta uscente di centrosinistra. Dice Miatto: «Non so se ci siano altri casi simili in Italia, nemmeno mi interessa. So che questa è roba mia, non è imitazione!».
Al sindaco, 66 anni, nato a Mareno di Piave, è capitato anche di doversi rimettere al lavoro appena andato in pensione da veterinario: «Il 30 aprile, giorno del mio compleanno, è stato il mio ultimo giorno di lavoro. Con la festa dei lavoratori ero in campagna elettorale ed eccomi qua». Sposato, due figli: Filippo, 34 anni, è in cattedra a Parigi dove insegna fisica; Ilaria, 26, si specializza in igiene dentale alla Sapienza.
Come ha pensato di chiamare un'assessora del Pd nella sua giunta leghista?
«La conosco da tanto tempo. Il messaggio in campagna elettorale è stato distensivo in una città che è sempre stata politicamente spaccata in due, anche un po' per indole montanare dei suoi abitanti. Guardando al lavoro della passata amministrazione, mi è sembrato che il lavoro di Antonella Ulliana fosse stato buono e che lei fosse capace di fare quello che volevo. All'inizio non è stato facile: minacce a lei, accuse di senso del ridicolo a me. Ma sono contento di averlo fatto. Il nuovo assessore ha gli stessi referati di quando era nella giunta di centrosinistra: cultura, musei, biblioteche. La gestione amministrativa prescinde dalle idee».
Ma lei non era un venetista?
«Ideologicamente sono un venetista da fine Anni '70, il primo vento mi fece innamorare. Qualche anno dopo leggevo sul Gazzettino i primi articoli di Franco Rocchetta come un risveglio dal torpore e frequentavo Beggiato, Comencini e quelli che si chiamavano Veneti d'Europa. Una volta eletto consigliere comunale di Vittorio, sono stato avvicinato dagli amici della Lega e da allora sono sempre rimasto nella compagnia che apprezzo. Cinque anni da consigliere con Scottà e cinque da assessore con Da Re».
Di quel venetismo cosa è rimasto?
«Ha funzionato di più sui libri di Alvise Zorzi questo amor patrio che in politica. Il nemico è l'individualismo di veneti o anche la mancanza di un elemento umano che funga da traino. Ora penso che il Veneto otterrà almeno la sua piccola quota di autonomia, è la freccia della storia che lo vuole. L'ho sempre pensato, l'unica cosa che non sapevo era il quando».
Cosa faceva prima di entrare in politica?
«Sono figlio di un commerciante di bestiame, ho frequentato le elementari a Marano andando a scuola a piedi, come si faceva una volta. Per le medie e il liceo, invece, sono stato interno dai Cavanis a Possagno, ci ritroviamo ancora oggi tra ex alunni. L'università l'ho fatta a Bologna, laurea in veterinaria e becco pure la lode. Ho incominciato a lavorare nella cintura attorno a Treviso, fino al 1981 quando mi sposto a Vittorio e a Revine. Poi sono stato chiamato a governare aree sempre più grandi come responsabile dei servizi veterinari. Il veterinario lo vedono come quello della pubblicità dell'amaro, ma non è proprio così, è l'interfaccia mondo animale-umano, qualsiasi alimento fornito al mercato va controllato: uova, carne, miele La nostra Usl registrava 200 mila macellazioni all'anno, 34 milioni di macellazioni di polli, quasi sette milioni di quintali di mangimi, 2 milioni di uova al giorno!».
C'è stato un caso difficile da affrontare?
«Nel 1997 abbiamo avuto il secondo caso in Europa di influenza aviaria, quando non se ne parlava, e siamo riusciti a risolverlo in poco tempo. Abbiamo eliminato il focolaio che interessava 20 mila capi esposti al contagio perché allevati all'aperto, ma purtroppo a contatto con la fauna selvatica che portava il contagio. Qua ci sono allevamenti importanti, quelli industriali di galline da uovo, poche le stalle da bovine da latte, molte sono state chiuse. Per fortuna i nostri allevatori hanno trovato l'opzione B, il Prosecco, e con le vigne si sono salvati. Il settore ha risentito del mancato ricambio generazionale, tenere i bovini significa lavorare tutti i giorni dell'anno e spesso anche la notte».
Torniamo a Vittorio Veneto, quali sono i problemi della città?
«Più potenzialità che problemi: abbiamo la montagna, la collina, la pianura, diversi laghi, il fiume, non ci manca niente per stare bene. La popolazione si è ridotta, è diventata più anziana, ma è vitale: abbiamo più di 200 associazioni di tutti i tipi, un'associazione ogni 140 persone. Però è una città difficile da amministrare perché richiede molti sforzi, 370 chilometri di strade solo a tenerle pulite è un impegno. Solo di cimiteri ne abbiamo nove!».
Quanto pesa la storia in una città come questa?
«Forse è una fantasia mia, ma quasi il nome di Vittorio Veneto è un elemento che non ha indotto la città a essere vitale. Siamo un po' malati di presunzione, come se certe cose ci spettassero di diritto. Ci si accorge che è bellissima, ma deve essere curata, come lo sono, per esempio, Sacile e Motta. Il fatto di sapere quanto grandi fossimo in passato non può bastare: lo splendore con la Serenissima, il fatto di dovere il nome a Vittorio Emanuele II e di essere diventati il simbolo stesso della Grande Guerra, ha fatto sì che la gente si sia seduta sui presunti allori. Si pensa che il turista debba venire qui per diritto, ma non è così, devi creare le condizioni perché la gente arrivi. Abbiamo bisogno di infrastrutture in città, di creare anche le condizioni perché si apra un albergo grosso. È uno dei motivi per cui di corriere a Vittorio non se ne fermano».
Perché un turista dovrebbe venire a Vittorio Veneto?
«Non solo per vedere i nostri musei che sono belli ma non possono competere con quelli di una grande città. Non solo per gli eventi che portano decine di migliaia di persone, ma non turisti: sono avventori di qualche ora. Il turista ha bisogno di altro per potersi fermare; c'è il cicloturismo che viene dal Nord, ma non abbiamo strutture forti per richiamarlo. Tenterò di fare due cose: far rivivere il concorso biennale di Violino che era una tradizione, e Comodamente inteso come manifestazione culturale di particolare vivacità. Non saranno gli stessi, rinvangare il passato è possibile solo in parte, è già importante pensare di rimettere le cose in corsa. Ho iniziato da poco più di un mese, con pochi dirigenti, con un meccanismo ottocentesco A Vittorio i giardinieri erano 13 e la mattina davanti al Comune cambiavano la data spostando i fiori e tutti si fermavano a guardare, oggi i giardinieri sono due!».
Faticoso fare il sindaco? E come ci si comporta davanti alle leggi?
«C'è il problema del tempo libero che scende a zero, ma non mi lamento, è la normalità, ci sono cento e cento persone che hanno bisogno di te. Io parlo sempre con tutti, per strada, in ufficio, in auto tengo il finestrino aperto per rispondere a chi mi fa domande. Quanto alla legge, senza nessuna denuncia si ha la sensazione di non essere nessuno! Aldilà delle battute, certo che la legge blocca: i paletti sono talmente tanti che tutto diventa difficile, costoso, complesso. Non sono neanche assicurato, ancora. Una volta il Comune pagava il minimo dovuto, la copertura per l'errore involontario. Ora nemmeno quello, l'assicurazione me la pago di tasca».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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