«Il Nordest fa vedere le sue crepe»

Sabato 24 Agosto 2019
«Il Nordest fa vedere le sue crepe»
L'INTERVISTA
The dark side of Nordest. Per lungo tempo di questo mitico territorio consacrato all'operosità, all'efficienza, all'appartenenza orgogliosa si è voluto vedere sempre e soltanto il suo lato luminoso, sottovalutando una sintomatologia che preludeva anche al suo rovescio. Ora che le crepe, dovute a mille fattori, sono più evidenti o quantomeno è avvertita una sensazione meno idilliaca della zona, fioriscono letture più complesse e più realistiche. Non è invece da oggi che un regista come Alessandro Rossetto, padovano, classe 1963, si sforza di narrare la sua terra con lo sguardo critico che lo contraddistingue, arrivando con Effetto domino a un punto nevralgico di osservazione, cogliendo del Nordest attuale tutti gli aspetti più contraddittori.
Prodotto dalla padovana Jolefilm (con Rai Cinema), distribuito dalla concittadina Parthénos e in uscita nelle sale il 3 settembre, il film avrà due giorni prima un passaggio prestigioso, nella sezione Sconfini, alla prossima Mostra di Venezia, come già avvenne per il suo precedente Piccola Patria (2013), dando quindi continuità di rapporto e affetto con il festival: «Sì, è sempre un piacere esserci. Abbiamo fatto il possibile per finirlo in tempo. Se ci aspettavamo una collocazione più importante? Non ci abbiamo pensato e comunque non è un problema. Venezia è una vetrina importante per noi, quindi va benissimo essere scelti anche stavolta», chiarisce Rossetto.
Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Romolo Bugaro, interpretato tra gli altri da Marco Paolini, Vitaliano Trevisan, Maria Roveran, Diego Ribon, Mirko Artuso e Roberta Da Soller (e con Paolo Pierobon, voce fuori campo), racconta la storia del progetto di un impresario edile e del suo geometria per convertire, in una località termale, grandi alberghi abbandonati in residenze di lusso per ricchi anziani.
In questi 6 anni che separano i due film, com'è cambiata la mappa del Nordest?
«È un territorio che inizia a lasciarsi alle spalle dei ruderi, simbolicamente riassunti da questi grandi complessi architettonici. La locomotiva produttiva non ha più la velocità di un tempo e la consacrazione del mercato globale ha fatto il resto. Nello scrivere il film, partendo dal romanzo, ci siamo come sempre rapportati alla realtà. Le spinte economiche che arrivano dall'Oriente e che sono al centro della trattativa che nasce tra le finanziarie asiatiche e i piccoli industriali veneti che sognano in grande sono cronaca effettiva. Siamo una terra avviata a un cambiamento ancora indecifrabile, con questioni come il ridimensionamento demografico. Avremo quindi ben presto una terra popolata da anziani, dove sta cambiando l'idea di come stare bene, aprendo scenari imprevedibili».
Il mondo ruota attorno al profitto e per questo salta tutto: i rapporti familiari, le amicizie, la lealtà.
«Il dio denaro si è imposto anche qui, ovviamente. Oggi l'azione finanziaria sta colpendo l'economia reale, l'imprenditorialità locale cede a nuove tentazioni, portando le persone a compiere errori, scelte mal calcolate. In questo tempo di crisi, gli spiragli sembrano restringersi; e chi ha scommesso sente di perdere tutto. Così i rapporti apparentemente sodali si dimostrano tutt'altro che limpidi, ma non vale solo per l'area nordestina. Il ruolo del tradimento nel film è plausibile oltre che efficace. Nei rapporti di lavoro è indotto dalla situazione che precipita, mentre è più complesso quello che si sviluppa all'interno della famiglia, con scopi non sempre negativi: qui la realtà tocca i sentimenti e forse pesa anche il rapporto generazionale, il modo diverso di intendere il mondo e il proprio ruolo».
Denaro fa rima con potere.
«Sì e qui più che una centralità del potere, si nota la sua circolarità, dove i protagonisti cambiano il proprio ruolo, fino a rovesciarlo. È un film dove i compartimenti sembrano stagni, ma in realtà comunicano tra di loro».
Rossetto, il Nordest: si direbbe un rapporto inseparabile. Anche artisticamente.
«Sì, è inevitabile. Ma credo che il film non sia così territoriale, perché queste storie accadono ovunque; sarà spero recepito da tutti, anche se parlato prevalentemente in veneto, perché accessibile a ogni latitudine».
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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