«Il mondo vivrà di fagioli»

Lunedì 12 Novembre 2018
«Il mondo vivrà di fagioli»
L'INTERVISTA
«Stiamo andando verso un mondo sempre più popolato, presto saremo 10 miliardi di persone! Per forza diventerà vegetariano e i legumi sono straordinari, moderni, sono il futuro per il loro carico di proteine. Il grosso problema del futuro sarà l'acqua non il petrolio e le colture come i legumi hanno bisogno di poca acqua, di quella che cade dal cielo». Il Gruppo di Molvena, guidato da Remo Pedon, copre da solo più della metà del mercato dei legumi in Italia. Il fatturato supera i 100 milioni di euro. Duecento dipendenti nel Veneto, altri quattrocento sparsi negli impianti di Cina, Etiopia e Argentina. Nello stabilimento in provincia di Vicenza si lavorano 40 mila tonnellate di prodotto l'anno. Remo Pedon, 62 anni, è nato nel vicino comune di Pianezze, a cinquecento metri da dove oggi è la fabbrica. Lo chiamano il re dei fagioli.
Nel 1984 avete fondato l'azienda
«Ma io parto dal 1934 perché questa storia sarebbe completamente diversa se non ci fosse stato mio papà che è nato l'anno in cui è finita la Grande Guerra e si chiamava proprio Guerrino, non c'era molta fantasia nei nomi. Una famiglia estremamente povera come tante allora nel Veneto, oggi siamo la seconda regione economica d'Italia, Vicenza esporta il doppio della provincia di Torino. Guerrino, che non aveva mai conosciuto suo papà, a 16 anni è emigrato da Marostica a Cogne, in Valle d'Aosta, per lavorare in miniera. Mi raccontava che il salario lo mandava tutto alla mamma e lui si manteneva con gli straordinari. È rimasto lì fino a quando non lo hanno richiamato per la guerra, nel 1940 è stato tra i primi mandati in Francia. La mamma è morta di tubercolosi, ancora giovane»
Che tipo era Guerrino?
«Nostro padre ci ha dato l'educazione, la possibilità di studiare e quella di fondare questa azienda. È morto trent'anni fa, ci ha lasciato quattro valori: curiosità, attitudine al sogno, tenacia, generosità. Amava viaggiare, anche se in vita sua non è mai salito in un aereo. Ha girato l'Europa in macchina, era un alfista, la sua prima auto nel '62 era stata una Giulia. Si alzava sempre presto: Le ore della mattina riempiono la manina, diceva. Aveva il senso della solidarietà. Quando è morto sono venuti dei signori che lo conoscevano e ci hanno raccontato che erano degli sfollati dal Polesine dopo l'alluvione del 1951. Non avevano niente e mio padre, che allora faceva l'ambulante di prodotti alimentari, gli dava ogni settimana le scorte. Diceva che era nato povero e che sarebbe morto di fame se non lo avessero aiutato. Era abbastanza anomalo rispetto a quella generazione: non è mai uscito da solo il sabato e la domenica, sempre sotto braccio con mia madre».
Come sono cresciuti i fratelli Pedon?
«Siamo Sergio e Franco e io che sono il più giovane di una decina d'anni. Ma non sono nato per caso: nel '51 i miei avevano perso un figlio di cinque mesi chiamato Remo; così volevano un bambino a cui dare lo stesso nome. Mio padre allora aveva quasi quarant'anni, era lui a raccontarmi le fiabe, a ricordarmi le sue radici oltre a darmi lezioni di vita. Molti anni dopo tante cose sono riemerse nei miei comportamenti. Sono cresciuto in una famiglia piccolo borghese, a casa c'erano già la tv, il telefono e la lavatrice. Ricordo che da bambino venivano i vicini a vedere il Musichiere o il Festival di Sanremo ed era ogni volta una festa»
Quando siete diventati imprenditori?
«Ho abbandonato il liceo perché i miei fratelli avevano già incominciato a lavorare e avevo paura di rimanere indietro. Per mio padre ero sempre il piccolo, il bocia mi chiamava dandomi affettuosamente uno schiaffo sul collo quando gli chiedevo: Ma in azienda chi comanda?. L'attitudine alla leadership, non al comando, è una qualità rara, te la devono riconoscere perché vali e si fidano di te. Ho incominciato a lavorare con miei fratelli che a fine anni '60 avevano un magazzino all'ingrosso per servire i piccoli negozi. Già nel 1980 avevamo capito che, con i supermercati, i piccoli negozi erano destinati a chiudere. Potevano fare qualcosa partendo dai fagioli: li abbiamo confezionati per i supermercati servendoci di una macchina di seconda mano che confezionava farina e che noi abbiamo convertito. Siamo partiti con un capannone di 380 metri quadri, oggi solo qui copriamo una superficie di 20 mila metri quadrati. Abbiamo aggiunto un'idea vincente: il codice a barre!»
C'è una ricetta del vostro successo?
«Penso che l'imprenditore debba avere delle doti: la prima è quella di essere visionario, poi occorre l'intuito. Nel 2003 sono andato in Etiopia e mi ha portato laggiù l'istinto. C'era stato nel 1936 uno zio volontario, allora era l'Abissinia e il fascismo voleva l'impero, non è che la vicenda dello zio mi piaccia molto, ma ero il secondo Pedon arrivato da quelle parti. Noi per la selezione dei legumi abbiamo bisogno di tante donne che hanno tanti bambini, ma attorno non c'era niente. La prima cosa da fare era la scuola ed era già pronta prima di iniziare, allargata al territorio. Oggi abbiamo 250 bambini dai tre agli undici anni, 12 insegnanti, un servizio bus, una mensa. Dalla busta-paga degli insegnanti al resto è tutto a carico della nostra azienda, con la collaborazione del governo etiope».
Una grande soddisfazione
«Fai quelle cose e un giorno, era il 28 marzo 2012, viene in Etiopia un signore che aveva sentito parlare di quello che facevamo e vuole incontrarci. Arriva quasi senza farsi annunciare, si affaccia alle classi con la curiosità di un bambino, non si fa fotografare con le scolaresche perché non vuole strumentalizzare la sua presenza. Era Bill Gates che mi ringrazia, mi dice: Remo, tu sei un uomo coraggioso. Venire qui nel 2005 e aprire una fabbrica in Etiopia, dare lavoro a 200 persone, richiede coraggio. Mi ha commosso e inorgoglito. Prima avevo aperto in Cina e avevo peccato di presunzione, credevo che in Africa fosse più facile anche se mancava tutto. Ma entra in ballo la tenacia, siamo la prima azienda di esportazione per quanto riguarda i legumi in Etiopia. Diamo lavoro, con l'indotto, a circa 20 mila famiglie che ci forniscono legumi, sacchi, trasporti».
Avete mantenuto il cuore societario a Molvena in uno stabilimento ad alta tecnologia
«Questo stabilimento risale al 1998, lo stesso anno in cui ho incominciato a viaggiare il mondo, vado ovunque si producano e si esportino i nostri prodotti. Ho disegnato questo stabilimento anche sulla base delle mie esperienze, viaggiare apre la mente, ma come si dice: se uno parte mona, torna mona. Siamo passati presto anche a servire le industrie di conservazione e surgelazione. Lavoriamo con Cina, Etiopia, Argentina, poi nel Perù, siamo i primi importatori di quinoa in Italia. Lavoriamo con Messico, Usa e Canada. Abbiamo la licenza di confezionare le lenticchie di Castelluccio, siamo intervenuti dopo il terremoto. Bisogna pensare costantemente a innovazione e ambiente, a cosa sia più facile per il consumatore. La gente ha poco tempo, poca predisposizione alla cucina nonostante tutti i programmi televisivi. La precottura è diventata un'area importantissima».
Ha sogni il re dei fagioli?
«Un imprenditore deve avere continuamente un sogno, pensare al prossimo progetto come al più importante della vita. Ho sogni grandissimi, come quello di aprire Green Station in tutto il mondo sulla scia di quello di Milano. Abbiamo già aziende in Usa, produciamo cereali per colazione e li esportiamo negli Stati Uniti! Chi avrebbe potuto sognare tanto Poi sogno sempre la Champions per la Juventus, sono tifoso bianconero come tutti i Pedon. Confido in Ronaldo».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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