«Il mio Poiana un demone pieno di rabbia e paura»

Domenica 20 Ottobre 2019
Più che un leghista/separista veneto della prima ora, il suo Poiana è un vero «demone» pieno di rabbia e di paura, il mostro della porta accanto che sa tutto di armi e fucili, detesta i foresti a meno che non siano «la moldava che me tende a nona» e non ha nessuna voglia di essere accogliente: «Questa xe casa mia, e tu non sarai mai come me». Andrea Pennacchi ride divertito, il suo luciferino Poiana che da qualche settimana accende le puntate settimanali di Propaganda live su La 7 scatenando poi accese reazioni sul web, è una curiosa creatura che sfiora voci conosciute - Paolini e Balasso in primis - ma che poi avanza baldanzosa verso il baratro dell'indicibile. L'attore e drammaturgo padovano, 50 anni appena compiuti, in questi giorni nella serie tv Sky 1994 accanto a Stefano Accorsi e tra poco a fianco di Paola Cortellesi in Petra, altra serie tv Sky ispirata al personaggio dei romanzi di Alicia Gimenez Bartlett, è un acuto osservatore degli esseri umani. Veneti ma non solo. Poiana nasce così sulla scia dei precedenti lavori Raise storte e Villan People, ma germoglia nello spiazzante monologo scritto da Marco Giacosa, Ciao Terrroni, this is racism, video web diventato virale lo scorso anno: «Il testo di Giacosa è stato importante, ha dato al personaggio una sua dimensione, poi il Poaiana è dilagato...»
Gli spunti non mancano.
«Infatti. Sono frutto di una frequentazione di bar veneti, di osservazione capillare della realtà. Diciamo che sono un antropologo da bar».
Quanto contano Paolini e Balasso?
«Quando mi affiancano a due artisti del genere sono solo onorato, poi ovvio: Paolini mi ha folgorato sin dai tempi di Aprile '74, con Balasso ho anche lavorato, e lo rispetto come spettatore e come collega. Senza di loro non ci sarei».
Ma il personaggio prende poi altre strade.
«Lo penso anche io, anche se non so bene dove possa andare» (risata).
Il personaggio l'ha costruito con meticolosità: polo grigia, capello spettinato, sguardo luciferino con sopracciglia che si impenna. E poi la voce furiosa.
«È un demone: il mio mestiere è questo, devo essere abitato dai demoni. Non posso fare sempre il simpatico. Devo essere abitato da quella roba lì. Certo, nella vita mi fa piacere andare d'accordo con tutti. Ma il personaggio non può essere simpatico, non gli fai un buon servizio, e non lo fai neanche allo spettatore, per quanto sia doloroso».
Come è arrivato a Propaganda live?
«È stato Makkox, il fumettista, che mi ha proposto di andare in trasmissione. Aveva visto Ciao Teroni, e gli era piaciuto. E mi ha spronato a scrivere. Il primo pezzo è stato Carro allegorico. Il Veneto è molto più interessante di quanto si pensi».
Poiana, il rapace. Nomen omen.
«Nasce lì, dal rapace più grande della nostra pianura. Interessante come metafora. Gli animali sono sempre stati un bel riferimento a teatro, sin da Fedro ed Esopo».
Poiana è spietato, cattivo, spaventato anche perché la paura crea rabbia e non è consolatorio alla fine.
«Parla in veneto ed è radicato nel territorio, ma si tratta di una maschera universale che sento parlare in tutti i dialetti del mondo. Lo sento dappertutto».
La sua non è satira.
«Non nel senso comune del termine, diciamo che metto il mascherone da demonio e dico le cose che dicono i demoni... greci. Io non mi pongo come un politico, racconto storie e cerco che siano le più vere possibile. Non devo fare altro».
I social si sono scatenati senza distinguere lei dalla maschera.
«Pazzesco. Era già successo con Ciao terroni!, è come se non ci fosse più l'abitudine a fermarsi e pensare. Sui social ormai tutti che parlano di sé, mostrando se stessi ma pochi recitano. Per fortuna qualcuno ormai capisce che sono un attore. Ma molta gente non sa ancora distinguere l'uomo dal personaggio».
Difficile gestire il Poiana?
«Nessun politico può far suo Poiana. Sfugge alle gabbie come animale alato suo eponimo».
Intanto si prepara per altre avventura: che farà in Petra?
«La serie è stata italianizzata, non più Barcellona come nei romanzi della Bartlett, ma Genova. E Pedra si chiama Petra. Io sono il suo braccio destro, Fermin che diventa Antonio. Il suo braccio destro. Oforse il suo punching ball, insomma quello che Robin è per Batman (risata). Un'esperienza bellissima».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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