Il maestro delle piante nane

Mercoledì 22 Agosto 2018
Il maestro delle piante nane
IL PERSONAGGIO
In Giappone è un'autorità, lo chiamano maestro e si inchinano quando pronunciano il suo nome. A Tarzo, paesetto in provincia di Treviso sulle colline del Prosecco, tutti lo conoscono come quello dei bonsai. Ma Armando Dal Col, 83 anni portati con vigore, merita un'etichetta più elegante. Chiamiamolo pioniere della coltivazione del bonsai, attività che pratica da oltre sessant'anni. Autodidatta, con licenza di scuola media conseguita all'età di 60 anni: «Sono stato promosso con ottimo - sottolinea con orgoglio - i miei genitori non mi hanno fatto studiare perché dicevano che era roba da ricchi». Ha sempre fatto il venditore ambulante di frutta e verdura, ma la sua vera passione era la coltivazione delle piante in miniatura.
«Io non sapevo nemmeno l'esistenza della parola bonsai - racconta mentre passeggiamo nel suo parco museo, dove sono coltivate oltre cinquecento specie di piante, probabilmente la più ricca collezione d'Italia - ma ero affascinato dagli alberi, mi piaceva con un gioco di specchi proiettare la loro immagine sul palmo della mano. Che bello avere un albero in pugno». Un chiodo fisso.
GLI ESPERIMENTI
I primi esperimenti li ha fatti con le pigne raccolte nel bosco, faceva crescere gli arbusti e poi li trapiantava nei vasi. Tutto a caso, non aveva nozioni di botanica e non aveva esempi a cui ispirarsi, solo la natura da osservare. «Da bambino avevo visto un piccolo frassino che era abbarbicato tra le rocce, nella cave di Mas a Sedico. Passavano gli anni, ma non cresceva: le radici non potevano espandersi tra le rocce e la pianta restava piccola. Ho deciso di trapiantarlo e portarlo in giardino, creandogli le stesse condizioni di limitatezza di spazio. É ancora vivo e sta benissimo». La svolta, che ha cambiato la vita di Armando, arriva nel 1986, con la consacrazione in Giappone. Quasi una favola: «Da anni curavo con amore un piccolo faggio, che avevo trovato sul Cansiglio. Era un alberello malconcio, ferito da decine di pallini sparati dai cacciatori. Decisi di aiutarlo, cominciai a potarlo e prestargli le cure necessarie. Per anni, andavo a trovarlo nel bosco, mia figlia mi prendeva in giro, perché diceva che era il mio migliore amico. Quando lo vidi pienamente ristabilito, lo trapiantai in un vaso nel mio giardino continuando con le potature. Con mia sorpresa, tagliando le radici, scoprii che aveva circa 200 anni. Era il 1975, oggi è ancora con me e lo chiamo il patriarca, per la veneranda età».
IL PATRIARCA
Dal Col raccontò la storia del patriarca alla Nippon Bonsai Association, la massima autorità mondiale del settore. Venne invitato a partecipare al Festival del bonsai con il patriarca e nel 1986 vinse il primo premio. L'oscar dei coltivatori di bonsai. Ma la vita di Armando non è stata semplice agli inizi. Anzi poteva spezzarsi il 9 ottobre del 1963, quando la frana del Vajont distrusse Longarone, Erto e Casso. «I miei genitori abitavano a Longarone da anni - ricorda con commozione - Quel giorno maledetto ero andato con il mio banchetto a vendere frutta in Val di Zoldo, al rientro decisi di passare a salutare mio padre e mia madre. Arrivai per l'ora di cena e mamma ha insistito perché mi fermassi con loro. C'era anche mia sorella, rientrata dalla Germania. Ma io ero stanco e prima delle 10 di sera sono ripartito per Tarzo». La voce si incrina, sono passati oltre cinquant'anni, ma il dolore è lo stesso. «Al mattino ho sentito la radio, dicevano che Longarone era stato travolto dall'acqua uscita dalla diga del Vajont, parlavano di tanti morti. Non riuscivo a credere, poche ore prima io ero là, fino a pochi minuti prima del disastro. Ho preso la macchina e sono corso verso Longarone. Mi hanno fermato a Ponte nelle Alpi, non si poteva andare avanti. Dal fango emergevano cadaveri. Quanti morti straziati ho visto. Papà l'hanno trovato sotto il ponte di Soverzene, mamma a 18 chilometri di distanza vicino a Perarolo. Erano nella stessa stanza, di sicuro in cucina, e sono stati scaraventati così lontano. Nel disastro ho perso anche mia sorella e un nipotino. Oltre che tanti amici».
L'AMORE
Meglio parlare di bonsai, una passione che ha portato anche l'amore per Armando. Un'altra storia che sembra una favola moderna. Lui era rimasto vedovo e non pensava a risposarsi. Negli anni Ottanta, al salone Euroflora di Genova, conobbe un maestro filippino coltivatore di bonsai che lo prese in simpatia e gli propose di sposare una sua nipote. «Credevo scherzasse - racconta Armando - ma con la scusa di partecipare ad una esposizione floreale andai a Manila. Il maestro mi presentò la nipote che era molto carina, ma assieme alla ragazza mi mostrò anche un contratto da firmare con l'accordo matrimoniale, che prevedeva tra l'altro di avere tre figli. Io presi paura e scappai via». Ma evidentemente l'idea di tornare in Italia con una moglie filippina aveva fatto breccia nel suo cuore. Si rifugiò in un paesello sui monti fuori Manila e lì conobbe Haina, una bella ragazza di 29 anni più giovane. Fu un colpo di fulmine o qualcosa di simile e i due si sposarono dopo poche settimane. «Ma senza alcun contratto - chiarisce Dal Col - il matrimonio è riuscito ugualmente e siamo ancora felicemente insieme». Anzi Haina è diventata la principale collaboratrice nella cura delle piante. Cinquecento bonsai richiedono attenzioni costanti: potature, reinvasatura, trattamenti contro i parassiti, acqua, protezione d'inverno.
I VISITATORI
E poi ci sono i visitatori. Il museo apre su prenotazione e le richieste non mancano. Negli anni questa tecnica di coltivazione delle piante in miniatura si è molto diffusa ed è apprezzata. Armando è diventato un punto di riferimento per tutto il Nordest, arrivano da lui con le piante, chiedono consigli, oppure lo pregano di prendersi cura dell'alberello malato. Il maestro, il titolo glielo hanno dato i giapponesi, ma ormai vale anche in Italia, ora ha tanti discepoli che vanno da lui per imparare la tecnica. Una volta era considerato un po' matto per questa mania delle piante nane, ora è diventato un guru.
Ma le piante, costrette a non crescere, non soffrono? È una domanda che Dal Col si è sentito rivolgere centinaia di volte: «Le sembra che queste piante soffrano? Sono tutte in ottima salute. Hanno solo una modalità di vita diversa, ma vivono serene e molto a lungo». Stacca una mela bonsai. È dolcissima. «Le sembra un frutto malato?». Armando passeggia tra le file di alberelli, li guarda amorevolmente, di ognuno è pronto raccontarti la storia. Li chiama per nome. Viene un dubbio: ma lei parla con le piante? Sorride e inchina la testa alla giapponese: «Diciamo che ho un linguaggio silente. Non sono come i giapponesi che quando si alzano salutano il bonsai chiedendo come ha passato la notte». Però lui al mattino va subito a vedere come stanno. E rivolge un saluto silente ai suoi amici più cari.
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it)
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